Internazionale

Inquinamento e armi

Succede in Asia L'inquinamento unisce Cina e Giappone e potrebbe essere oggetto di colloqui, in grado di stemperare le spese militari dei due paesi

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 25 novembre 2013

Tra gennaio e febbraio 2013, i rilevatori di inquinamento ambientale giapponesi sono impazziti. Per circa un mese la concentrazione di pm 2.5 è schizzata a livelli inusuali: 35 microgrammi per metro cubo di media. Le zone più interessate dal fenomeno in particolare tra il Centro e il Sud dell’arcipelago del Sol Levante: Kyushu, Chugoku, Shikoku e Kinki, le zone geograficamente più vicine alla Cina.

Tutta colpa dell’inquinamento proveniente dal continente, ha scritto l’Istituto nazionale di Studi sull’Ambiente. Negli stessi giorni, a Pechino la concentrazione di pm 2.5 registrata era di 700 microgrammi per metro cubo, 10 volte al di sopra dei limiti imposti dalla legge cinese e venti oltre quelli giapponesi.

L’inquinamento transfrontaliero inizia a preoccupare seriamente le tre maggiori economie asiatiche. E forse darà loro uno spunto per riunirsi intorno ad un tavolo per discutere di politiche concrete, come non fanno da più di un anno.
“Le regioni del Nordest asiatico – scriveva quest’estate il professor Jusen Asuka della Tohoku University di Sendai, nel Nordest del Giappone sulla rivista accademica Kankyo to Kogai (Ambiente e Inquinamento) – hanno visto di tanto in tanto gas inquinanti superare i confini territoriali”.

Da almeno quarant’anni, l’inquinamento transfrontaliero è un fenomeno che preoccupa seriamente l’Europa, i cui paesi membri, nel 1979 hanno firmato una Convenzione sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza (LRTAP) che stabilisce che i sottoscriventi si impegnino a “limitare e, per quanto possibile, gradualmente ridurre e prevenire l’inquinamento atmosferico, compreso quello transfrontaliero a lunga distanza”. L’idea per arginare il fenomeno anche in Asia potrebbe essere quello di costruire un framework simile all’LRTAP, con delle specifiche per la diversa conformazione della regione.

Giappone e Corea sono i Paesi con le maggiori probabilità di essere interessati dal fenomeno “per la loro posizione sottovento”e quindi quelli più interessati a limitare i dannni. Ma cruciale, concludeva il professor Asuka, sarà la cooperazione tra Pechino e Tokyo.

Di mezzo però c’è la solita politica: Pechino, Seul e Tokyo sembrano al momento più interessate a difendere i propri confini da un eventuale attacco dell’uno o dell’altro, o dal quarto incomodo: Pyongyang. Secondo i dati forniti quest’anno dall’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, le tre principali economie asiatiche sono tra i primi 15 della lista dei paesi che più spendono nel comparto militare.

Le relazioni economiche continuano come in passato, ma quelle diplomatiche sono raffreddate. In particolare dopo l’elezione di Abe Shinzō, un “falco” nazionalista, a primo ministro in Giappone, che ha nuovamente sdoganato le visite al contestato santuario Yasukuni di Tokyo, dove sono onorate le anime dei caduti di guerra giapponesi, compresi criminali di classe A.

Forse l’inquinamento darà ai tre Paesi la possibilità di riavviare le trattative trilaterali. Arrivando alla conclusione che una maggiore cooperazione per garantire una migliore qualità dell’aria a tutti potrebbe dare maggiori benefici rispetto a barricarsi tutti dietro portaerei e caccia.

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