Economia

Inps: «Immigrati essenziali per il nostro Stato sociale»

Inps: «Immigrati essenziali per il nostro Stato sociale»Terni, un gruppo di immigrati impegnati in lavori socialmente utili

Il rapporto annuale Il presidente Boeri dice no alla chiusura delle frontiere: creerebbe un buco di 38 miliardi. Sì al salario minimo fissato dalla legge. Cambiare i contratti a termine, squilibrati a favore dell’impresa

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 5 luglio 2017

«Chiudere le frontiere potrebbe costare un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps. Insomma una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo». Conti alla mano, il presidente dell’Inps Tito Boeri ieri – in occasione della relazione annuale sull’attività dell’istituto – ha fornito nuovi numeri su un tema che sta dividendo il Paese. E ha invitato a non alzare muri: «Non abbiamo bisogno di chiudere le frontiere – ha spiegato – Al contrario, è proprio chiudendo le frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale».

«GLI IMMIGRATI – ha concluso sul punto Boeri – offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole».

Ma la relazione è stata l’occasione per il presidente Inps di dire la sua su molti altri temi, in alcuni casi appoggiando le politiche del governo – con un elogio del Jobs Act, contro l’articolo 18 – in altri attaccando di petto i sindacati, facendo intendere che i dati diffusi dalle stesse organizzazioni sulla loro rappresentanza siano gonfiati. Ancora: Boeri ha auspicato l’istituzione di un minimo salariale fissato dalla legge – sulla scorta dei nuovi voucher, che già fissano una paga oraria sganciata dai contratti – e ha chiesto di modificare i contratti a termine, oggi troppo sbilanciati a favore degli imprenditori e a danno dei lavoratori.

PRIMA DEI NODI politici, uno sguardo ai dati del rapporto Inps: nel 2016 i pensionati con un reddito mensile sotto i mille euro sono stati 5,8 milioni, il 37,5% del totale dei pensionati italiani (15,5 milioni). Erano stati il 38% nel 2015: più alta la percentuale di donne sotto i mille euro – il 46,8% sul totale delle pensionate – a fronte del 27,1% degli uomini. Sono invece 1,06 milioni i pensionati sopra i 3 mila euro al mese e 1,68 milioni (il 10,8%) quelli che restano sotto i 500 euro al mese.

Nel 2016 l’Inps ha chiuso con un bilancio di esercizio negativo per 6,046 miliardi, in miglioramento rispetto ai 16,2 miliardi di rosso del 2015. Il patrimonio netto si è ridotto alla cifra di 254 milioni di euro. Il contributo degli immigrati è evidente: tanto più se si considera che per il momento è più alto il valore dei contributi incassati rispetto a quello delle prestazioni erogate.

IL PRESIDENTE BOERI è entrato quindi nel dibattito sull’adeguamento automatico dell’età, pronunciandosi sul possibile stop nel 2019: il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita per la pensione di vecchiaia «non è una misura a favore dei giovani – ha spiegato – perché i costi si scaricherebbero sui nostri figli e sui figli dei nostri figli». «Sarebbe meglio – ha quindi aggiunto – fiscalizzare una parte dei contributi all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto stabile».

Elogio poi per la cancellazione dell’articolo 18: «Ha rimosso il tappo alla crescita delle imprese sopra la soglia dei 15 dipendenti». «I nostri studi – ha spiegato – dimostrano che c’è stata un’impennata nel numero di imprese private che superano la soglia dei 15 addetti: dalle 8 mila al mese di fine 2014 siamo passati alle 12 mila dopo l’introduzione del contratto a tutele crescenti».

ANCORA, BOERI nega che vi siano legami tra la rimozione dell’articolo 18 e il boom dei licenziamenti disciplinari: «Avrebbe dovuto caratterizzare essenzialmente le imprese con oltre 15 dipendenti, ma in realtà – ha spiegato – la crescita del tasso di licenziamento è stata più rilevante nelle piccole imprese, sostanzialmente estranee a tali riforme».

Altro nodo toccato, i contratti a termine: Boeri nota che dopo la fine dei ricchi incentivi a quelli a tutele crescenti (da inizio 2016) sono tornati ad aumentare, cannibalizzando le assunzioni stabili. Sarebbe perciò «opportuno riconsiderare il regime dei contratti a tempo determinato, che trasferiscono troppa parte del rischio di impresa sul lavoratore, potendo essere rinnovati ben cinque volte nell’arco di tre anni».

OK AL SALARIO minimo fissato dalla legge: «Avrebbe il duplice vantaggio di un decentramento della contrattazione e di uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente numero di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione», e dalla paga fissata dai nuovi voucher (9 euro al netto dei contributi sociali) «il passo è breve».

Bene il Rei, il nuovo reddito di inclusione sociale, ma la platea è ancora troppo ristretta e le somme erogate sono ancora troppo basse: «Manca ancora in Italia uno strumento universalistico a sostegno della disoccupazione e dell’indigenza».

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