Fare festival in tempi pandemici. L’incontro che inaugura una serie di appuntamenti previsti per tutta la settimana è quasi un passaggio obbligato nell’estate del Covid-19, degli stravolgimenti nel quotidiano planetario, e in quella produzione culturale fondata sulla relazione, lo spazio pubblico, le pratiche di un racconto che nella fisicità o nell’astrazione, nella materia o nel digitale mettono in campo comunque la presenza, quel «contatto laterale» oggi «pericoloso».
Eccoci a Santarcangelo 2050, data che fonde il presente in un «Futuro fantastico» – come il titolo dell’edizione – giocando con questo 2020 e i cinquant’anni del festival di teatro nato nella cittadina di Tonino Guerra le cui creature fantastiche sembrano poter svolazzare da un momento all’altro nel paesaggio ordinato di case, campagna, caffè.

A DIRIGERE l’edizione del «mezzo secolo» ci sono i Motus, la pandemia li ha obbligati a un riposizionamento, a cambi repentini di progetti e di titoli nel cartellone passato da un possibile totale annullamento a questo progetto in tre tappe, la prima, il festival che si è aperto ieri (fino al 19) , la seconda nell’autunno/inverno (Winter is coming) a carattere più di residenza produttiva, la terza la prossima estate con una maggiore – mantenendo le scaramanzie del caso – presenza internazionale. Non è stato facile, appunto, si devono reinventare i luoghi, la distribuzione del pubblico secondo il distanziamento – e tutti gli spettacoli sono andati esauriti in pochissimo a testimoniare il desiderio di ritrovarsi fuori dalle luci degli schermi privati sul divano di casa – i gel per disinfettarsi le mani, le mascherine, e quanto ci accompagna ormai da qualche mese. Così al mattino prima dell’inaugurazione nella Romagna che il virus non ha risparmiato, sulla piazza della cittadina ancora poco affollata si montano gli schermi, si misurano i centimetri tra le sedie, si contano i ciottoli della Piazza Ganganelli sulla quale è prevista la prima delle Quattro lezioni sul corpo politico e la cura della distanza di Virgilio Sieni, si scruta il cielo che addensa nubi – la pioggia arriverà nel pomeriggio, anche questo fa parte del rischio.

EPPURE come scrive Daniela Nicolò nel catalogo del festival – Essere parte del tessuto. Sulla costruzione di un festival mai realizzato: «Ogni confine come ogni crisi è terreno fertile di ibridazione e tentativi per creare nuovi innesti propizi». Può capitare allora che una performance «innesti» alle mani dell’artista una protesi gentile, dei fiori con lunghi steli che sostituiscono le dita e senza timore accarezzino il volto, il corpo, le mani dell’unico spettatore, con grazia, dolcezza, sfiorando le emozioni. Pratiche di contatto amoroso a distanza di Katia Giuliani è nato durante il lockdown dalle domande che la nuova «distanza» sociale pone alle relazioni, sui rapporti più intimi: come avvicinarsi? Quale sarà la forma della tenerezza, del corteggiamento, della seduzione? Il confine dunque si allarga, implica cambiamenti lessicali, interroga il ruolo dei corpi e quello delle immagini. Una vertigine? O ancora una volta la realtà che irrompe, come lo striscione sul palazzo del comune, che chiede «Libertà per Giulio Regeni», a ricordarci un pezzo del nostro tempo?

È IN FONDO intorno a questo nodo che gli artisti lavorano, in un corpo a corpo col presente che mette in gioco il fare, il gesto stesso della creazione. Dalla scena allo schermo, il cinema entra nel Futuro fantastico di Santarcangelo e non solo come immagine in movimento parte di uno spettacolo ma ancora una volta seguendo l’intuizione di un «innesto», di un incontro che decontestualizza i generi in qualcos’altro. Nel film che ha inaugurato la rassegna Sans Soleil (curata da Filmmaker) Star/Stella (il titolo sarebbe il simbolo di una stella ma non sempre i font aiutano) il cineasta austriaco Johann Lurf ha raccolto dei cieli stellati da 550 film – elencati alla fine – in ordine cronologico, un’esperienza immersiva, da vivere in sala o all’aperto, che può essere installata seguendo altre modalità (e tempi) di visione, «oggetto» fluido e aperto sul cosmo, difatti la scelta del simbolo non è un vezzo ma la possibilità di restituire la materia del film senza ingabbiarla in una sola lingua nazionale. Potenza dell’immagine, ridefinizione di senso. La scommessa del festival nella sua ricerca.