Li zite ngalera (I fidanzati nella galera) di Leonardo Vinci, in scena al Teatro alla Scala fino al 21 aprile, è una irrefrenabile commedia per musica fatta di equivoci a partire dal titolo, che ovviamente si richiama il finale in cui Carlo e Belluccia, ex innamorati da poco ritrovatisi, scongiurano il rischio di essere uccisi dal padre di lei (Carlo per avere abbandonato Belluccia e Belluccia per avere disonorato la famiglia scappando e inseguendo Carlo), che in extremis li perdona e li accoglie sulla galera (ovvero la nave) di cui è capitano per portarli a casa e celebrare le giuste nozze. Ma quel titolo allude anche al fatto che nel libretto di Bernardo Saddumene (pseudonimo di Andrea Bermures) tutti gli amanti sono in galera, nel senso che sono imprigionati dentro passioni discordanti e fugaci che sono destinate a non essere soddisfatte e fanno confliggere l’identità di genere di quasi tutti i personaggi con l’identità di genere dei cantanti chiamati a interpretarli e/o con le loro voci.La brillante  regia di Leo Muscato, assecondata da un cast duttile e volenteroso, calca la mano sul tema dell’identità di genere e sul tema correlato dell’orientamento sessuale, appena sfiorato, svuotando entrambi dall’interno, mostrandone l’essenza di labili costrutti culturali

COSI’ il barbiere Col’agnolo (tenore, Antonino Siragusa), il suo garzone Ciccariello (soprano en travesti, qui interpretato dal controtenore Raffaele Pe), il giovane Titta (un contralto, qui il controtenore Filippo Mineccia) e il gentiluomo sorrentino Carlo (soprano en travesti, Francesca Aspromonte) amano la bella Ciomma (un soprano, Francesca Pia Vitale), parente della vecchia e ricca Meneca (un tenore en travesti, Alberto Allegrezza), madre di Titta; entrambe le donne sono però innamorate del giovane Peppariello, ignare del fatto che si tratta della giovane Belluccia (soprano, Chiara Amarù) travestita da uomo, venuta a cercare Carlo. Questa “galera” di desideri, stratagemmi, inganni e ruoli permane fino al disvelamento della vera identità di Peppariello/Belluccia e all’arrivo del padre di lei Federico (basso, Filippo Morace), capitano di galera che riporta tutto e tutti all’ordine, al cui ristabilimento tutta la commedia era predestinata fin dalle prime battute.

LA BRILLANTE  regia di Leo Muscato, assecondata da un cast duttile e volenteroso, calca la mano sul tema dell’identità di genere e sul tema correlato dell’orientamento sessuale, appena sfiorato, svuotando entrambi dall’interno, mostrandone l’essenza di labili costrutti culturali: la messa in scena raggiunge l’apice quando Carlo (una donna che interpreta un uomo) bacia Peppariello (una donna che interpreta una donna travestita da uomo) e quando Ciomma chiede a Ciccariello in abiti femminili (dunque un uomo con voce femminile che interpreta un uomo travestito da donna) di recitare una scena d’amore col garzone di Meneca, Rapisto (basso, Marco Filippo Romano). Le scene di Federica Parolini, fatte di moduli abitativi realistici che si compongono e scompongono continuamente come un puzzle, sottolineano la volubilità di questo universo un po’ folle. Andrea Marcon dirige con risultati diseguali l’Orchestra della Scala su strumenti storici con la partecipazione di strumentisti de La Cetra Barockorchester.