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«Inizia un nuovo capitolo» L’Avana: «No a pressioni»

«Inizia un nuovo capitolo» L’Avana: «No a pressioni»/var/www/ilmanifesto/data/wordpress/wp content/uploads/2015/01/22/23est2cuba – Lapresse/Reuters

Cuba Rappresentante Usa incontra dissidenti

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 gennaio 2015

«L’inizio di un nuovo capitolo». Entrambi i giornali del partito comunista – Granma e Juventud rebelde– presentavano ieri, usando il medesimo titolo, i risultati di due giorni di colloquio con la delegazione statunitense giunta all’Avana per aprire, il «capitolo» delle relazioni diplomatiche e politiche tra i due paesi dopo più di 50 anni di guerra fredda. Il processo per l’apertura di ambasciate è iniziato e sarà concluso in tempi che dipendono dal «consenso comune» su una serie di misure già delineate, come pure è avviato il processo di dialogo e cooperazione su una serie di temi di interesse mutuo e di cooperazione, emigrazione, lotta alla droga, relazioni finanziarie e telecomunicazioni.

Viene ribadito che «il processo di ristabilimento di relazioni politiche» sarà lungo e complicato data «le profonde differenze che permangono» in temi che – soprattutto per il governo americano – sono «fondamentali», ovvero il rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà di espressione. Senza avanzare su questo campo, ha fatto capire la sottosegretaria di Stato con delega per l’America latina, Roberta Jacobson, è difficile che Obama possa dar corpo ai cambiamenti da lui richiesti al Congresso – in maggioranza repubblicano – in tema di apertura ll’Avana: progressivo allentamento e in prospettiva fine dell’embargo, eliminazione di Cuba dalla lista dei paesi che favoriscono il terrorismo, relazioni politiche normali.

Da parte sua, Cuba ha messo in chiaro che su questi punti «non accetta pressioni», né ha alcuna intenzione di cambiare il proprio modello politico, economico, come pure la propria politica estera in cambio di concessioni degli Usa. Le relazioni bilaterali «devono essere impostate sulla base del rispetto della sovranità e della reciprocità», ha messo in chiaro la capo missione cubana Josefina Vidal, proponendo di fissare una data per colloqui dedicati ai temi di disaccordo.

Jacobson ha ribadito ieri, nel corso di una conferenza stampa, che lo scopo della nuova politica di Obama è «promuovere una maggiore apertura» nell’isola, che «dia più forza al popolo cubano» e favorisca lo sviluppo della democrazia, delle libertà e diritti umani. Ha anche messo in chiaro che le «profonde differenze» su questi temi non rappresentano un ostacolo al proseguire dei colloqui in corso con la parte cubana.

In precedenza la viceministra statunitense aveva discusso di questi temi in una colazione di lavoro con i rappresentanti di vari gruppi di oppositori e dissidenti cubani, divisi sull’apertura diplomatica. Berta Soler (Damas de blanco) che si è espressa in modo contrario all’apertura di relazioni diplomatiche con Cuba, perché «favoriscono e rafforzano il governo», e non le aspirazioni della popolazione ha deciso non partecipare all’incontro perché, a suo dire, «pur essendo maggioritaria» tra gli oppositori la linea «del rifiuto», essa era «sottorapresentata» nell’incontro con la Jacobson.

Differente il punto di vista di Daniel Ferrer, coordinatore dell’Unione patriottica di Cuba (Unapacu), piccolo gruppo attivo nell’oriente dell’isola e al quale appartengono buona parte dei detenuti liberati dal governo alla vigilia dei colloqui dell’Avana. Ferrer ha messo in chiaro che l’apertura diplomatica di Obama e il processo di smantellamento dell’embargo «possono favorire» lo sviluppo della democrazia e del rispetto dei diritti umani a Cuba.

Attualmente, la «voce» più accreditata della società civile cubana critica – ma non opposta, anzi apertamente dialogante- alla linea del presidente Raúl è quella di gruppi, come «Cubaposible», o di riviste collegate alla Chiesa cattolica. Ieri Palabra Nueva, la rivista dell’Arcivescovato dell’Avana retto dal cardinal Jaime Ortega, ha inviato i cubani a « non restare prigionieri» dei timori e rancori generati da mezzo secolo di confronto con gli Usa.

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