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Ingrid Laubrock, un altro pensiero sulla melodia

Ingrid Laubrock, un altro pensiero sulla melodiaIngrid Laubrock

Musica Il nuovo disco dell'artista tedesca di nascita ma newyorchese di residenza, dal titolo "Brink"

Pubblicato 29 giorni faEdizione del 10 settembre 2024

Capitò a Benny Goodman grazie al titolo italiano di un film del 1955 di essere chiamato «re del jazz». Un’esagerazione che non piacque ai puristi nonostante il clarinettista e bandleader dell’epoca swing fosse davvero formidabile. Oggi, pur ammettendo la scorrettezza di simili terminologie onorifiche, osiamo proporre una «regina del jazz» ed è Ingrid Laubrock. Tempi ben diversi e idiomi rivoluzionati rispetto a quelli dell’epoca del grande Benny. Addirittura si esita un po’ a pronunciare la parola jazz, tali e tanto consistenti sono le varianti rispetto a una lunga meravigliosa tradizione. Ma l’esitazione va superata. Si gioca.
Laubrock, tedesca di nascita (Stadtlohn) e newyorchese di residenza ormai da anni, è proprio ai vertici, non si riesce a immaginarla se non come una dea, una musicista toccata dalla grazia.

LA SUA GRAZIA fino a qualche tempo fa si è notata per il rilievo assoluto di alcune opere in veste di compositrice o organizzatrice di lavori d’assieme per piccoli e meno piccoli ensemble. Laubrock geniale era ormai un fattore acquisito dopo l’uscita, per esempio, di Dream Twice, Twice Dream e di Monochromes. Non si parlava di scrittura – e che scrittura casomai! – perché il metodo dell’agire jazzistico o post-jazzistico è sempre stato, ai tempi di Goodman e di Ellington come ai tempi nostri, quello di una combinazione tra parti annotate e parti inventate al momento. Si continuava comunque a dimenticare l’esplosiva creatività di Laubrock solista (di sax tenore e soprano) come si ascoltava, sempre per esempio, in Blood Moon (con la pianista Kris Davis). Adesso, con l’uscita per Intakt di Brink, non si può più fare i distratti. Lei è in duo col percussionista Tom Rainey (suo marito) e il valore di questa «musica a due» è immenso. Ma è il solismo di Laubrock che lascia semplicemente stupefatti.

SI TRATTA di una maniera nuovissima di operare sull’improvvisazione tematica di rollinsiana memoria. Solo che qui di temi veri e propri non ce n’è. Il brano d’apertura, Flock of Conclusions, racchiude sicuramente un’idea di «melodia infinita». Non un nucleo chiuso che si apre alla variazione o alla pura invenzione suggerita da quel nucleo. È una melodia ininterrotta che viene continuamente elaborata: spezzata, scossa, ora resa cantabile con curve inaudite, ora resa puro timbro. Con la souplesse di un Coleman Hawkins (o di un Lee Konitz? più «kafkiano, però) e con l’«astrazione» galattica/autoanalitica di uno Sciarrino.
È pensiero nuovo sulla melodia, questo. Ci sono nell’album 7 brani con lo statuto di «compiutezza» e 6 brani di 1 minuto intitolati, appunto, Brink e numerati che stanno tra uno e l’altro dei brani «maggiori» e hanno una funzione tutta da indagare, da scoprire. Sono preludi? No, perché all’inizio e alla fine di questa suite anomala «vengono dopo». Sono suggerimenti? Sono «scorie» preziosissime? Non sappiamo. Forse sono appunti per racconti. Laubrock vi suona il soprano, dissolve il timbro e qualsiasi registro, vagheggia con Rainey una musica elettronica senza elettronica. Nei brani «compiuti» l’approccio è più classico e l’azzardo sta tutto negli inesauribili itinerari melodici della solista. Che conosce l’ultra-free e conosce la storia del jazz. Questa è Ingrid Laubrock «regina» della sintesi propulsiva. Ama il piacere del virtuosismo. Cioè? Destare l’ammirazione di chi ascolta ben oltre le attese o le previsioni o le logiche più sperimentali.

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