The Turnstile (il tornello) e The Midfield (il centrocampo) sono i nomi di alcune stradine situate a poche centinaia di metri dal centro di Middlesbrough, nel profondo nord-est operaio dell’Inghilterra. Chiari segni che qui, una volta, sorgeva uno stadio. Girovagando in questo dedalo di viuzze costeggiate dalle classiche casette a due piani si trovano anche altri indizi dei fasti del passato. In uno dei rettangoli d’erba che separano il marciapiede e un’abitazione c’è un pallone di ferro, che sta lì a contrassegnare il punto dove si batteva il calcio d’inizio delle partite. In fondo al parchetto dove un paio di signori attempati portano a spasso i loro cani si innalza un lungo muro dipinto di bianco, sebbene la vernice ormai scrostata in vari punti lasci intravedere il rosso dei mattoncini di chiara epoca vittoriana. Decenni fa in quel punto sorgeva la Holgate End, la «curva» dei supporter locali.
Insieme al vecchio cancello d’ingresso, che ora fa bella mostra di sé davanti alla tribuna principale del nuovo impianto, il muro è l’unica reliquia dell’Ayresome Park. Ovverosia uno dei vanti del calcio di queste parti, ideato dall’illustre architetto scozzese Archibald Leitch all’inizio del Ventesimo secolo e poi demolito nel 1997 per far posto a uno stadio moderno e funzionale, che sorge a due passi dalla zona industriale e dal fiume Tees. Nella città dove da secoli si lavora il ferro – non a caso era soprannominata Ironopolis e ormai sta vivendo una decadenza all’apparenza irrefrenabile – e nell’arena ormai sparita si è consumata la più grande tragedia in termini sportivi della storia d’Italia.
Il 19 luglio 1966 davanti a 17.829 spettatori – fu tra le gare meno seguite del Mondiale inglese – gli 11 presunti carneadi della sconosciutissima Corea del Nord sconfissero per 1-0 l’Italia allenata da Edmondo Fabbri e con stelle del calibro di Mazzola, Facchetti e Albertosi, buttandola fuori dalla Coppa del Mondo. Da quel giorno «Corea» è diventato sinonimo di umiliazione, vergogna, disfatta. Il castigatore, Pak Doo Ik, ha infestato per mesi i sogni degli appassionati di football nostrani. Si disse che fosse un dentista, in realtà aveva solo la qualifica, ma non aveva mai esercitato tale professione. Più prosaicamente serviva con il grado di caporale nell’esercito nordcoreano.
Per onor di cronaca va detto che l’Italia giocò buona parte dell’incontro in 10 a causa dell’infortunio di Bulgarelli – allora non erano ammesse sostituzioni – ma questo dettaglio ebbe ben poco rilievo per la stampa italiana, che massacrò senza alcuna remora i poveri Azzurri. La Corea del Nord in realtà non era una squadra così mediocre, tanto che nei quarti di finale si ritrovò in vantaggio di ben tre reti contro il Portogallo dell’immenso Eusebio, che poi mise le cose a posto contribuendo in maniera consistente al 5-3 finale appannaggio dei lusitani.
Da quell’infausto giorno a Middlesbrough gli Azzurri hanno collezionato vittorie clamorose (le notti magiche del 1982 e del 2006), ma anche qualche umiliazione di troppo (sempre nella Coppa del Mondo l’incredibile pareggio con la Nuova Zelanda e la sconfitta rimediata quattro anni fa dalla Costa Rica). Tuttavia forse mai avrebbero potuto credere che undici aitanti svedesi (orfani del divino Ibrahimovic) potessero negare loro il biglietto per Russia 2018.
Le copiose lacrime in diretta televisiva del capitano Gigi Buffon dopo l’inopinato 0-0 a San Siro che lo scorso novembre sancì l’eliminazione dell’Italia nella fase di qualificazione ha scalzato le tristi memorie del match con la Corea del Nord. Se si eccettua la prima edizione (1930) a cui la nostra federazione decise di non prendere parte e quella del 1958 (inopinata eliminazione per mano dell’Irlanda del Nord) l’Italia non aveva mai mancato l’appuntamento della fase finale dei Mondiali. Ora non resta che aspettare l’edizione del 2022 in Qatar, che già si preannuncia come la più «particolare» della storia, visto il contesto e il periodo (per evitare il caldo torrido è in programma d’inverno) in cui sarà giocata. Ma prima toccherà qualificarsi.