L’ amore è guerra. La poetessa (o la poeta?) non ha dubbi. Parla per sé, però la certezza è così perentoria da divenire contagiosa. Ma non si fa in tempo a rifletterci davvero: “No! L’amore è semplicità, e esiste solo se c’è scambio…”.

A contraddirla è un’altra poeta. Altrettanto convinta. Così una intensa discussione all’aperto, nel bel tempo di un sabato a Roma, tra i tavolini del Pigneto, per la precisione alla “libreria delle donne” Tuba, termina su un interrogativo leggermente angoscioso. Al solo sentire pronunciare quella parola, guerra, i sentimenti più pesanti e difficili da elaborare oggi si affacciano al cuore e al cervello.

La prima scrittrice è Anna Segre, è da poco uscito un suo libro di poesie, La distruzione dell’amore, (InternoPoesia, 2022). La seconda è Beatrice Zerbini, il suo libro si intitola In comode rate. Poesie d’amore, stesso editore. La fascetta rossa sulla copertina dice: sesta edizione. Presenta e intervista Viola Lo Moro, animatrice e inventrice, con altre, di Tuba.

Sembra che le due rispondano da universi opposti. Eppure viene narrata una relazione stretta: Beatrice Zerbini scrive la postfazione al libro di Anna Segre. E Anna racconta di come sia stata “tirata su” dal fondo di una specie di fossa proprio da Beatrice: grazie al suo editing piuttosto dittatoriale (editting… neologismo poetico) il libro – che non ci riusciva – è nato.

Ma continui a chiederti, davvero l’amore è guerra? E quali battaglie si combattono in una competizione amorosa? Non con colpi per eliminare l’avversario, anzi il nemico, la nemica. O invece sì? Se sei un maschio forse pensi a quante volte le nostre guerre supposte amorose si concludono con una vera eliminazione, quando non con una strage. Ma qui si ha la netta sensazione che si alluda a qualcosa di molto diverso.

Mettiamo da parte per un momento l’idea alternativa che è stata gettata in campo (l’amore c’è solo nella semplicità e nello scambio). La prima poesia che legge Anna Segre è intitolata Ingenuità (e non mi attardo a spiegare perché tutti i titoli delle poesie sono anche in lingua ebraica: Tmimut).

Lì per lì sembra confermata l’immagine poco lusinghiera che spesso si attribuisce all’ingenuo, uno che non considera il male una “cosa probabile”. Poi il racconto prende un’altra piega: Non ci sono trappole in cui cada / perchè, anche in fondo a una fossa / è protetto dalla fiducia / che nulla di brutto / possa accadergli. / E non si può chiamarla / stupidità, / visto che è ancora vivo,/ sorride / e combatte meglio di chi dispera.

Non racconterò come va a finire, quale sarà il destino dell’ingenuo nella fantasia creatrice dell’autrice. Piuttosto citerò un passo della postfazione: “La poesia di Anna Segre agisce la propria urgenza amorosa e distruttiva, fino alla tensione massima e all’eccesso e lo fa su sé stessa, senza mai tuttavia raggiungere l’irreparabile, sempre allusivamente presente nel discorso romantico a essa sotteso”. C’è del romanticismo, dunque, sotto sotto?

Giorni fa nella bella piazza Matteotti di Genova, tutta affollata di bancarelle di libri scontati, ho trovato a metà prezzo quel famoso saggio di Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale (Abscondita, 2014).

“Ogni vero genio – scrive uno che di genio davvero un po’ se ne intendeva – deve essere ingenuo, oppure non è tale. Unicamente la sua ingenuità lo rende un genio, e quello che egli è nel campo intellettuale e estetico, non può rinnegarlo in quello morale”.

Ecco una possibile conclusione: l’ingenuo “combatte meglio” perchè non dispera, e forse in battaglia non raggiunge mai l’irreparabile. Fate l’amore, non la guerra. O meglio: fate le vostre guerre con l’ingenuità dell’amore?

Errata Corrige

Per un refuso, nella versione originale della rubrica era saltato l’incipit: “L’ amore è guerra”. L’abbiamo aggiunto nella versione digitale. Ce ne scusiamo con l’autore e i lettori