Merito, talento, impegno, sforzo. Jannik Sinner (non sarà certo la sconfitta di ieri a cambiare le cose) è diventato il simbolo epico cui i giovani italiani devono ispirarsi. Giovani bamboccioni che, per riscattarsi, non devono far altro che prendere la vita del tennista altoatesino a esempio.

Del par suo, la politica dovrebbe limitarsi alla «promozione del merito» e regalare un po’ di felicità a chi ha voglia di impegnarsi, almeno così ripete Luca Ricolfi. Sinner è originario di San Candido, un paese in provincia di Bolzano di circa 3.300 residenti. È nato nel 2001 e ha iniziato ad allenarsi in modo intenso fin da giovanissimo a soli 7 anni. Il circolo che lo ospitava si trova a Brunico, a poco più di mezz’ora in auto (e di treno) da San Candido. Data la giovanissima età, Sinner raggiunge il circolo grazie al nonno Josef che lo accompagna con l’auto.

I primi passi della biografia di Sinner rilevano molti degli elementi cruciali del suo percorso di successo: il talento individuale, l’impegno e la costanza, la prossimità spaziale a una infrastruttura sportiva «abilitante», la possibilità di raggiungerla, la giovanissima età alla quale inizia ad allenarsi. Possiamo definire questi come gli ingredienti della «ricetta Sinner». Ingredienti essenziali, tutti necessari e nessuno, da solo, sufficiente. Quanti giovanissimi talenti non hanno le stesse opportunità di Sinner? Quanti potenziali campioni non possono allenarsi perché non hanno accesso fin da piccoli alle infrastrutture sportive necessarie? Chi sarebbe oggi Sinner senza quelle opportunità, relazioni e infrastrutture? Il talento innato non è sufficiente.

Herbert Simon ne La ragione nelle vicende umane sottolinea l’insostenibilità di una nozione come quella di «talento innato», non perché gli essere umani siano dalla nascita tutti ugualmente dotati ma perché è solo con l’allenamento e l’apprendistato di lungo corso che il talento si può sviluppare.

L’esempio che porta è quello di un genio senza tempo: Wolfgang Amadeus Mozart. Nota Simon che, malgrado lo stupore dei contemporanei per le sue composizioni adolescenziali, anche Mozart passò attraverso un periodo sufficientemente lungo di apprendistato e formazione per arrivare poi a eccellere. Mozart aveva già iniziato a comporre all’età di quattro anni e a diciassette anni – quando cioè scrisse alcune delle sue prime composizioni di livello mondiale – aveva alle spalle già tredici anni di esercizio continuo e costante. Non si tratta di un caso isolato, considerando che le biografie dei “super-performer” mostrano periodi di almeno dieci anni di esercizio pregresso.

Le opportunità di esercitare l’impegno fin da piccoli e di coltivare il talento con costanza e dedizione non sono distribuite in modo eguale e dipendono, come nel caso di Sinner, dalla presenza di relazioni sociali e di infrastrutture abilitanti. È, questa, la concezione di «infrastruttura» invalsa oggi nelle scienze sociali: combinazioni di oggetti, spazi, persone, relazioni e modi di essere e di fare che – in combinazione e intersezione – costituiscono i meccanismi di riproduzione del tessuto sociale, plasmano le diseguaglianze e permettono o meno alle persone di agire liberamente perseguendo i propri obiettivi di vita buona. Infrastrutture «abilitanti» e vicine alle persone, ad accesso universale e in buono stato di manutenzione.

Prospettiva, questa, che non vale ovviamente solo per lo sport, come racconta la storia di «El Sistema», un notissimo progetto sociale attraverso la musica creato a Caracas nel 1975 da José Antonio Abreu. Il progetto non solo ha tolto dalle strade due milioni di bambini, ma li ha dotati di uno strumento musicale e di una formazione intensiva. Grazie al progetto e alle sue scuole di musica diffuse sono successivamente fiorite importanti orchestre (come la Sinfonica Simón Bolívar) e, anche, talenti come Gustavo Dudamel, che impara a suonare il violino da giovanissimo, all’età di dieci anni. Il 1 Gennaio 2017, Dudamel arriva a dirigere il concerto di Capodanno di Vienna nella Sala dorata. Un altro esempio, analogo, è quello delle biblioteche diffuse e accessibili la cui presenza riduce i costi di accesso alla conoscenza, stimola l’innovazione e migliora le scelte di istruzione e professionali delle persone.

La «ricetta Sinner» è quindi fatta da molti ingredienti, la cui compresenza è oscurata da una narrazione pubblica tutta concentrata sulla figura epica dell’eroe unico, irripetibile e solitario. Se ne è reso conto lo stesso tennista altoatesino che, parlando con alcuni giornali italiani, ha dichiarato: «Su di me, forse, si è andati un po’ oltre. A me è sembrato di fare cose normali: vedi uno che non sta bene, lo aiuti; incontri un bambino, c’è una palla, fai due tiri. Non sto nemmeno a pensarci. È il mio modo di vivere». Una persona normale, dotata di un grande talento, che famiglia e contesto gli hanno dato l’opportunità di coltivare fin da piccolo.