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Informazione: effetto notte per Report

Ri-mediamo La rubrica settimanale su media e società. A cura di Vincenzo Vita
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 30 novembre 2022

Non c’è pace per Report, in assoluto tra le migliori trasmissioni televisive. Nell’età dei talk infiniti, costruiti su personaggi ripetitivi e intercambiabili, un programma come quello diretto da Sigfrido Ranucci (altrettanto si potrebbe dire per Presa diretta) irrompe nella desolazione corrente. Non per caso il programma della Rai, residuo vivo e tenace di un canale che fatto la storia del servizio pubblico, è quello che vanta il maggior numero non di imitazioni, bensì di attacchi e di querele.

Viene in mente, mutatis mutandis, l’accanimento contro il lavoro di scandaglio sotto la superficie dei segni di WikiLeaks e di Julian Assange. Mettere il naso negli arcani dei poteri suscita reazioni sgradevoli e pesanti.

Ed eccoci di nuovo all’ennesima schermaglia attorno a Report. Vi ricordate i video girati con un telefono cellulare nel dicembre del 2020 da una professoressa, in cui si immortalava un curioso incontro all’autogrill di Fiano Romano tra Matteo Renzi e l’allora dirigente dell’Aisi (agenzia informazioni e sicurezza interna)? Quei materiali furono inviati alla trasmissione, che successivamente li utilizzò. La cittadina sentì il dovere di rendere noto a giornalisti stimati documenti di indubbio interesse pubblico. Ed è a quest’ultimo principio, sacro per la deontologia professionale, che si ispirò la redazione nel mandarli in onda.

Del resto, è assai legittimo chiedersi come mai due figure del genere sentissero il bisogno di parlare in un luogo simile e non in un ufficio. Una simile vicenda, somigliante a diversi spunti narrativi della letteratura e del cinema, valeva almeno un servizio di informazione. Cittadine e cittadini devono sapere delle gesta di personaggi di qualche peso nell’ingranaggio democratico.
Apriti cielo. A venire indagata è la signora e i soggetti in questione hanno, invece, evitato di raccontarci il senso reale dell’accaduto. Salvo credere alle belle fiabe, in questo caso davvero ultronee.

L’insegnante è stata convocata in tribunale lo scorso 8 novembre. Di che è accusata, visto che nell’età dell’infosfera si girano video a colazione, a pranzo e a cena? E dove su otto miliardi di abitanti del globo, almeno cinque utilizzano cellulari e smartphone?

Se fosse vero, come ha osservato in una recente intervista pubblicata da Il Fatto quotidiano il presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, che il capo di imputazione sarebbe una disposizione -prevista da un decreto legislativo del 29 dicembre 2017- inerente all’illecita diffusione di riprese e registrazioni, allora ci troveremmo di fronte ad un’interpretazione molto discutibile. Anzi, assisteremmo ad una sorta di eterogenesi dei fini. Se un testo nato sull’onda – tra l’altro- della piaga del revenge porn diviene il pretesto per contestare le fonti dell’informazione, l’Ungheria di Orban si avvicina. L’hanno sottolineato pure la federazione della stampa e l’associazione Articolo21.

Come si è arrivati alla professoressa? Ovviamente, andando a rovistare nei tabulati telefonici del cattivissimo Ranucci e di chi ha fatto il servizio andato in onda. Com’è noto, simile iniziativa è legittima solo su motivata richiesta dell’autorità giudiziaria. È il caso?

Attenzione, certe scelte sono precedenti pericolosi e coprono con un fortissimo effetto notte l’esercizio di libertà fondamentali.
Tira una brutta aria sull’informazione: oltre al caso inquietante di Report, con la sua collezione di querele (temerarie), il quotidiano Domani è ora nel mirino. L’attuale presidente del consiglio, prima di assurgere a palazzo Chigi, ricorse agli avvocati contro il giornale. Analogamente, gli strali si riversarono su Roberto Saviano. E non sembra che Giorgia Meloni sia incline a dismettere una pratica che poco si addice a chi coltiva ambizioni da statista.

Il nuovo parlamento ha l’onere -ereditato da ben quattro legislature precedenti- di riavviare l’iter normativo sulle liti temerarie, secondo indicazioni ormai acquisite dalla stessa commissione europea; nonché di rivedere quell’articolo (617 septies) inserito nel codice penale in merito alla diffusione di riprese e registrazioni. Arriverà l’alba?

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