Gli ultimi dati di Eurostat sull’inflazione in Europa dicono che la corsa dei prezzi, almeno per alcuni comparti, sta rallentando. Nella zona euro l’indice ha fatto registrare, a dicembre, un +9,2%, dal 10,1% del mese precedente. Quasi un punto in meno. Ma non in tutti i Paesi le cose vanno allo stesso modo. Così, mentre in Germania, Francia e Spagna si registrano cali più che significativi (rispettivamente, 9,6%, 6,7% e 5,6%, contano anche le misure dei governi), l’Italia si distingue per l’inflazione più alta tra i grandi Paesi di Eurolandia (+12,3 su anno). Nel complesso, a scendere di più sono i prezzi dell’energia (al 25,7%, dal 34,9% di novembre), contro una relativa stabilità di quelli dei beni di prima necessità e dei servizi. Il che lascia intendere che sono ancora le materie prime a determinare il corso dei prezzi, dalla produzione al consumo (per l’Italia pesano l’importazione di energia e l’incidenza del metano nella produzione elettrica). Inflazione da costi, insomma, senza l’innesco di una spirale prezzi/salari (le retribuzioni sono cresciute ovunque meno dell’inflazione). Semmai, si affaccia un problema opposto, il cosiddetto «sottoconsumo», stante il ridotto potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni.

Ma perché il prezzo del gas è sceso al di sotto del livello pre-guerra (72,6 euro a megawattora)? Il «price cap» a 180 euro a Megawattora non c’entra niente. La discesa era iniziata già prima del 19 dicembre. Certamente conta il clima mite di questi primi mesi d’inverno. Si brucia meno metano per il riscaldamento domestico e aumentano gli stoccaggi. Una questione di domanda (reale). Ma non basta. Come per le fiammate dei mesi scorsi, anche in questo caso c’entra la speculazione. Gli «scommettitori» di Amsterdam adesso stanno giocando al ribasso. Puntano su una caduta della domanda di metano, a causa della recessione che starebbe per arrivare.

Nel frattempo, si avvicina la data della riunione della Bce, in programma per il prossimo 2 febbraio. Verrà confermata la linea dei mesi scorsi o si terrà conto della situazione nuova che si è venuta a creare? Vale per i tassi come per i programmi d’acquisto di titoli pubblici e privati. La decisione presa a dicembre era di procedere ad un innalzamento del tasso guida nell’ordine di 50 punti base almeno fino alla prossima primavera e di ridurre i titoli di Stato in portafoglio al ritmo di 15 miliardi al mese fino al secondo trimestre 2023. Una scelta discutibile, stante la natura del fenomeno inflativo in Europa, ma soprattutto per i venti gelidi che nei prossimi mesi rischiano di abbattersi sull’economia continentale (la guerra continua, la Cina non sta messa bene col Covid).

Insomma, anche su questo versante ci si allinea alle scelte «americane» (tasso al 4,5%, il più alto dal 2007), nonostante l’inflazione europea abbia natura e origini diverse rispetto a quella degli States, dove peraltro i posti di lavoro anziché diminuire, continuano a crescere (+223 mila unità a dicembre).