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Inedito Altman tra Nashville e Hollywood

Inedito Altman tra Nashville e HollywoodRobert Altman

Cinema Si è chiusa la ventiduesima edizione di Arcipelago con la vittoria del cinese «La Lampe au Beurre de Yak» di Hu Wei. Nel programma un omaggio al maestro americano con alcuni lavori riscoperti da Ron Mann

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 14 novembre 2014

Tra Hollywood e Nashville, il jazz, il blues e la satira sulla società americana si è svolta l’intera carriera cinematografica di Robert Altman, che ad otto anni dalla sua morte torna in sala in Italia – al Festival Arcipelago della Garbatella – con dei cortometraggi risalenti agli anni in cui dalla televisione passava al grande schermo, riscoperti da Ron Mann, autore di Altman, un documentario sulla vita e la carriera del maestro americano. The Kathryn Reed Story, del 1965, è un biopic a metà tra il documentario, il cinegiornale ed il mockumentary, che ricostruisce con ironia la vita di dell’aspirante attrice del titolo, ovvero la terza ed ultima moglie di Altman per il cui compleanno il maestro americano realizzò il corto, unendo vere foto e filmati di famiglia a parti di «fiction».

Il gioco da cui nasce The Kathryn Reed Story continua nei titoli di coda, in cui Altman attribuisce la regia ad un amico e la produzione al grande regista austriaco Eric Von Stroheim, mentre le musiche – sono composte addirittura John Williams. The Party, dell’anno successivo, ritorna sull’amore per la musica dato che è praticamente un videoclip ante litteram, brevissima (appena 3 minuti) vicenda alla Hollywood Party intorno a un imbranato imbucatosi a una festa, girata ad una vera festa in casa del regista. A chiudere il lavoro per cui venne definitivamente notato dai produttori cinematografici, inaugurando con MASH la sua carriera trionfale sul grande schermo: Pot-Au-Feu (1966), collage di varie situazioni in cui tutti fumano e si passano canne, unite da un filo rosso che è una parodia dei programmi culinari televisivi d’epoca, a cui assiste una spettatrice che cerca senza successo di rollarsi uno spinello.

Arcipelago si è chiuso con l’assegnazione dei premi ai vincitori di entrambi i concorsi di quest’anno: quello italiano – Con/Corto – e quello internazionale, Short Planet, che è stato articolato lungo quattro percorsi tematici rispondenti ad altrettanti argomenti d’interesse dei nostri giorni, ad un livello sociale come cinematografico. Miglior film nonché premio speciale della giuria diretta dal regista Francesco Di Pace sono due corti provenienti dalla sezione Geografie fuori luogo, accomunati da un legame originale, rivisitato ed a volte instabile con il territorio. Il vincitore La Lampe Au Beurre De Yak del cinese Hu Wei si concentra infatti su delle famiglie di nomadi tibetani,giocando su una commistione tra cinema e fotografia in cui all’ambiente naturale ne viene preferito uno artificiale.

Il premio della giuria va invece a Xe Tai Cua Bo del brasiliano Mauricio Osaka, ovvero il viaggio, attraverso il Vietnam, di un padre e di sua figlia che salta un giorno di scuola per aiutarlo nel suo lavoro di camionista. Il rapporto con la geografia dei luoghi, veri protagonisti dei corti di questa sezione, può però anche essere controversa, come in Nivut Golem di Yoav Hornung, in cui due soldatesse dell’esercito israeliano, in missione nel deserto, scontano la loro scarsa comprensione di un territorio selvaggio e lasciano che siano altri a farne le spese. La menzione speciale della giuria va invece ad un corto belga – Figures, di Miklos Keleti – di un’altra sezione: Femminile, plurale, in cui si fa il punto su questioni di genere, femminile appunto. Figures è un brillante esempio di come il genere – in questo caso cinematografico, dato che ci troviamo di fronte ad un horror sui generis – sia un perfetto veicolo di quello che è sia un dramma umano, la sordità di una bambina, che un problema più ampio a livello sociale: la mancanza di comprensione da parte delle altre persone, a partire dalla stessa famiglia.

Ed il genere torna ancora in Sequence dello spagnolo Carles Torrens, fra horror e commedia che si interroga sul rapporto tra realtà e sua percezione soggettiva. Sequence fa parte della sezione Tutto a posto, niente in ordine, che riguarda invece le più assortite discrepanze del mondo contemporaneo, come la persistenza della superstizione di fronte alla morte ed il dolore del lutto, che è il tema dell’ottimo O umbra de nor del rumeno Radu Jude. L’ultima sezione, Metamorfosi e corpi da urlo, è quella più sperimentale, in cui le mutazioni riguardano i protagonisti quanto, e ancor più, la stessa forma cinematografica, come dimostra il breve cortometraggio animato di videoarte di Simone Massi, L’Attesa del maggio. Questi quattro percorsi, attraversando sia i luoghi più lontani geograficamente che le forme di narrazione più disparate – dal documentario all’animazione passando per i generi più tradizionali – danno al contempo un’istantanea del cinema mondiale e delle sue tematiche, che possono trovarsi identiche in storie dalle caratteristiche diversissime ed esplorare argomenti più raramente affrontati, su cui gettano una nuova luce.

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