Inedite vite naziste nella Guerra Fredda
Indagini «Fuggitivi», l’inchiesta di Danny Orbach per Bollati Boringhieri. Un’indagine sui molti «mercenari» del Terzo Reich a lungo coinvolti nei grandi conflitti globali. Al riparo dalla giustizia, hanno operato per gli Usa come per l’Urss, sul fronte delle indipendenze del Nordafrica. E perfino per Israele ai tempi dello scontro con Nasser
Indagini «Fuggitivi», l’inchiesta di Danny Orbach per Bollati Boringhieri. Un’indagine sui molti «mercenari» del Terzo Reich a lungo coinvolti nei grandi conflitti globali. Al riparo dalla giustizia, hanno operato per gli Usa come per l’Urss, sul fronte delle indipendenze del Nordafrica. E perfino per Israele ai tempi dello scontro con Nasser
Anche per effetto delle molte versioni letterarie che di tali tortuose traiettorie esistenziali si ha traccia nell’ambito dell’immaginario globale, attraverso una cronologia via via arricchitasi anche di testimonianze cinematografiche e più di recente relative alle serie tv, ripercorrere le vie seguite dagli ex criminali del Terzo Reich e dai loro alleati al termine della Seconda guerra mondiale assomiglia sempre ad una sorta di immersione in una realtà degna delle migliori spy story. Eppure, quel che forse colpisce di più, e allo stesso tempo inquieta, sconvolge, e ovviamente indigna, nelle «seconde vite dei nazisti» nel dopoguerra, è esattamente l’ampiezza del grado in cui la cruda realtà supera ogni pur fervida fantasia.
NON SMENTISCE questa sinistra impressione l’ultima indagine in ordine di tempo relativa a tali vicende. Se c’è piuttosto una particolarità nel bel volume di Danny Orbach, Fuggitivi (traduzione di Enrico Griseri, Bollati Boringhieri, pp. 346, euro 28), è di offrire delle sorti di quelli che definisce come «mercenari nazisti nella guerra fredda», un quadro piuttosto ampio e articolato, introducendo nuovi elementi relativi a casi già noti e una prospettiva analitica a tutto tondo che finisce per illuminare anche contesti fin qui raramente esplorati dagli storici come dagli studiosi del tema.
Così, se l’autore tende a smontare l’enfasi intorno ai vari progetti di un «Quarto Reich» sorto dalle braci della sconfitta hitleriana, argomento che ha accompagnato le inchieste giornalistiche su questa materia fin dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, l’orizzonte che delinea si fa, se possibile, ancor più fosco e intrecciato. Posto che molti ex nazisti restarono anche dopo il 1945 aggrappati agli aspetti dell’ideologia di Hitler «che più corrispondevano alle loro inclinazioni», Orbach riflette sul fatto che furono diverse, e a volte in apparenza contraddittorie, le forme attraverso cui cercarono di farli valere nel mondo del dopoguerra.
«Alcuni scelsero l’anticomunismo schierandosi con l’Occidente, altri l’ostilità alla democrazia occidentale, schierandosi con l’Est, altri ancora l’antisemitismo, votandosi a proseguire da sponde straniere la lotta contro gli ebrei». Scelte che comportarono perciò molti compromessi in nome della «lotta» che si intendeva proseguire con nuovi mezzi. E soprattutto alleati. «Per esempio – sottolinea ancora l’autore -, gli ex nazisti il cui obiettivo primario era la lotta al comunismo dovettero accettare la democrazia occidentale. Coloro che volevano continuare a “combattere gli ebrei” finirono per pendere dalla parte dell’Unione Sovietica, il nemico più odiato di Hitler».
Ma proprio questa apparente «flessibilità ideologica» dei mercenari nazisti spiega la loro presenza «in ogni angolo del mondo» durante il confronto tra le superpotenze che caratterizzò gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.
UTILIZZANDO FONTI INEDITE dello spionaggio occidentale e israeliano e documenti recentemente desecretati, Orbach, già appartenente all’intelligence dello Stato ebraico prima degli studi in Storia a Harvard e l’attuale docenza presso la Hebrew University di Gerusalemme – sempre Bollati Boringhieri ha pubblicato il suo precedente volume sui progetti tedeschi di attentati al Führer, Uccidere Hitler (2019) -, delinea un itinerario che muove dalla Germania degli ultimi mesi del secondo conflitto mondiale, passa per Berlino Est e termina nel Nordafrica degli anni Settanta e il Medio Oriente degli ultimi decenni.
Il punto di partenza ruota intorno alla figura dell’ex generale Reinhard Gehlen, già responsabile dei «servizi» del Terzo Reich sul fronte orientale, che dopo essersi consegnato agli Alleati in Baviera sarà all’origine della nascita nel 1956 del Bundesnachrichtendienst (Bnd), la principale agenzia di spionaggio della Repubblica federale che avrebbe poi guidato fino al 1968: chi meglio di loro conosceva il «nuovo nemico» sorto ad Est? Insieme e Gehlen, centinaia di ex nazisti, compresi diversi criminali di guerra, costituirono con il sostegno esplicito di Washington l’ossatura dell’apparato di sicurezza del Paese lungo i cui confini la Guerra Fredda avrebbe conosciuto i suoi momenti più caldi. Ciò che è però forse meno noto, è che anche l’Urss utilizzò dei nazisti scampati alla giustizia, e riparati oltre la Cortina di ferro o rimasti nelle zone poi controllate dagli Alleati, per sabotare «l’organizzazione Gehlen»: personaggi del calibro dell’ex capitano delle Ss Hans Clemens che aveva avuto un ruolo sia nella strage delle Fosse Ardeatine che nelle torture inflitte ai prigionieri a Via Tasso.
Ma le traiettorie di questi ex nazisti che si sarebbero trasformati via via nel dopoguerra in trafficanti d’armi, imprenditori e esperti della sicurezza, consulenti per regimi e governi, conducono anche, per limitarsi ad un paio di esempi, all’Algeria in lotta per l’indipendenza da Parigi dove una figura centrale per la fornitura di armi agli insorti sarà l’ex membro della Gestapo Wilhelm Beisner o alla Siria della dinastia Assad, dove il criminale di guerra Alois Brunner, soprannominato la «mano destra del diavolo» per il suo ruolo di stretto collaboratore di Adolf Eichmann nel tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa, ha vissuto indisturbato dagli anni Sessanta fino alla morte, avvenuta nel 2001: era uno dei fondatori e dirigenti della Orient Trading Company, una società fondata dagli ex nazisti che procurava armi ai Paesi dell’area.
E perfino Israele, in particolare all’inizio degli anni Sessanta, quando si confrontò con la minaccia dei razzi che i tecnici già al servizio del Terzo Reich stavano mettendo a punto per l’Egitto di Nasser, non rinunciò a stringere dei «patti faustiani» con altri ex nazisti come Otto Skorzeny per catturare, come segnala Danny Orbach, «le mosche con il miele».
IN CONCLUSIONE, presenti in vari luoghi per decenni, a volte per tutta la vita, tutti questi «mercenari nazisti» non furono spesso importanti di per sé, ma, come ricorda l’autore di Fuggitivi, per «le illusioni che gli Stati, i governi e i servizi segreti nutrirono nei loro confronti». E grazie all’intramontabile retorica secondo cui «il nemico del mio nemico è mio amico».
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