La ‘umma musulmana si configura come comunità di tutti i fedeli che abita su un territorio detto dar al-Islam, «territorio della pace»: la guerra, la harb, è possibile in teoria solo là dove l’Islam non sussiste né domina la shari’a, la «legge rivelata», dunque nella dar al-harb. Tuttavia, i non-musulmani che sono monoteisti e credono nel Dio che si è rivelato loro tramite una Scrittura Sacra – quindi gli ebrei e i cristiani; ma in tempi e luoghi differenti sono stati considerati tali anche i mandei, i mazdei o zoroastriani e i buddhisti – sono ahl al-Kitab, «genti del Libro», e possono abitare la dar al-Islam in quanto appartenenti a una milla (gruppo distinto) che fa di loro dei dhimmi (cioè sottomessi all’Islam quindi oggetto di alcune restrizioni ma anche protetti). Chi invece non è ammesso è il kafir, il «pagano», il «politeista».

NEL CRISTIANESIMO manca una definizione altrettanto precisa del proprio territorio, la Cristianità, contrapposto a quello nel quale regnano altre religioni. Questo non significa che i cristiani siano stati nella storia più aperti; le religioni altre dal cristianesimo, comprese le sue diverse interpretazioni presto dichiarate «eretiche», sono state già proibite dall’Editto di Teodosio alla fine del IV secolo, con l’eccezione degli ebrei. Nei confronti dei musulmani l’atteggiamento è stato altalenante, variando da un luogo all’altro, da un tempo all’altro. In Sudditi di un altro Dio. Cristiani sotto la Mezzaluna, musulmani sotto la croce (Salerno editrice, pp. 232, euro 22), Luigi Andrea Berto si chiede come abbiano vissuto sudditi cristiani e musulmani in territori appartenenti alla fede dell’altro, tra l’VIII secolo e l’inizio dell’Età Moderna. Si parte dall’analisi della sfera giuridica e in particolare da come vennero imposti e applicati divieti e leggi alle comunità assoggettate il cui peso dipendeva spesso da come avveniva la conquista e dalle dinamiche successive.

ATTRAVERSO un contino confronto tra dominatori e dominati, l’autore riflette sui divieti imposti dalla maggioranza sulla minoranza. Si prosegue con i processi di conversione che ogni religione, in virtù delle sue aspirazioni universalistiche, non poteva imporre, ma certo sollecitare. Berto sottolinea due aspetti importanti: il primo è il valore simbolico di questo processo, in quanto nella logica dei dominatori avrebbe confermato la verità della loro fede e la fallacia di quella dei sudditi. Dato particolarmente interessante è la libera scelta da parte dei cristiani di aderire all’Islam, o per assumere una migliore condizione sociale oppure per conversione e spontaneamente. Berto sostiene che i cristiani erano attratti dalla semplicità dei riti musulmani, dal rigore del culto a Dio e dalle forme mistiche diffuse popolarmente. Decisamente minori i casi inversi.

L’autore dedica anche spazio ai luoghi di lavoro condivisi tra maggioranza e minoranza religiosa e all’utilizzo che in entrambi i campi si è fatto di amministrazioni miste composte da cristiani e musulmani. Impossibile non ricordare in proposito il governo normanno in Italia meridionale, che attingeva ampiamente all’elemento arabo-siculo. Altri luoghi di condivisione sono stati i luoghi di culto, come quelli di origine biblica, cari alle tre religioni abramitiche.

SE GLI SPAZI di convivenza sono stati numerosi, non sono mancati quelli di radicale rifiuto, come la cacciata di musulmani ed ebrei dalla Spagna all’inizio dell’età moderna e i molti altri che Berto elenca. Il bilancio che emerge, anche alla luce degli sviluppi attuali, non è entusiasmante; non bisogna tuttavia dimenticare che, oggi come nei tempi passati, finiamo per raccogliere soltanto le notizie dei conflitti o degli attentati sanguinari: dai massacri delle crociate alle bombe dei nostri giorni; accanto ad esse, una storia dei rapporti commerciali e culturali darebbe giocoforza un’immagine ben diversa di ciò che è stato e di ciò che è.