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Indulto e amnistia, l’agenda Napolitano

Indulto e amnistia, l’agenda Napolitano – Foto Max Bordi-tam tam

Giustizia La condizione delle carceri «umilia l’Italia». Dal Quirinale un messaggio alle camere per sollecitare misure straordinarie. La maggioranza ci sta, i grillini attaccano: pensa a Berlusconi. E il presidente scende in polemica

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 9 ottobre 2013

Un indulto largo, capace di liberare oltre ventimila persone e riportare così i detenuti nei limiti della capienza massima delle carceri. E un’amnistia stretta, limitata ai reati non gravi ma in grado comunque di liberare i magistrati dal peso dell’arretrato, far ripartire i processi e accelerare i tempi della giustizia. Sono le proposte «urgenti» che Giorgio Napolitano, contando sull’attenzione che le forze politiche di maggioranza gli riconoscono, affida al parlamento. La condizione delle carceri italiane, scrive, è «umiliante sul piano internazionale».
Il governo risponde «presente», prima con Letta e poi con Alfano, la ministra della giustizia Cancellieri è da tempo favorevole all’amnistia ma potrà solo proporre misure limitate: è in parlamento che le leggi di clemenza dovranno farsi strada. Il Pdl è immediatamente favorevole, ma lo è perché lega l’urgenza del dramma carcerario alle «riforme della giustizia» che perennemente alludono agli interessi di Berlusconi. Nel suo messaggio al parlamento il capo dello stato ha lasciato socchiusa questa porta, citando le proposte in tema di giustizia dei «saggi» da lui nominati. Proposte che hanno poco a che vedere con il carcere e molto con la voglia di vendetta dei berlusconiani (si parla di intercettazioni, disciplinare dei magistrati, di limiti alle interviste dei giudici…). Dall’altra però Napolitano stringe l’orizzonte della possibile amnistia, i cui confini spetterebbe alle camere tracciare. I reati finanziari come quello che è costato a Berlusconi l’unica condanna definitiva non sono reati «non gravi». Ma questo non basta a contenere la reazione del Movimento 5 Stelle: Napolitano è immediatamente accusato di volere l’amnistia per Berlusconi. Tale è il livello degli attacchi che il presidente persino replica, scendendo nella polemica con un partito. «Sanno pensare a una sola cosa, hanno un pensiero fisso e se ne fregano degli altri problemi del paese della gente», dice Napolitano rivolto ai grillini, scatenando un’altra ondata di critiche, stavolta per la mancata imparzialità.

Uno strumento poco usato

Nell’elenco che l’articolo 87 della Costituzione fa dei poteri del presidente della Repubblica, quello di inviare messaggi alle camere è al primo posto. Eppure lo strumento è stato talmente poco utilizzato che da solo Cossiga con i suoi sei messaggi in sequenza (1990-92) supera tutti gli altri presidenti che vi hanno fatto ricorso messi assieme. Napolitano compreso che aveva fin qui preferito intervenire in maniera informale. E aveva anche spiegato il motivo: nulla di concreto è mai scaturito dai messaggi dei suoi predecessori, né ai tempi di Segni e Leone, né in quelli più recenti di Scalfaro e Ciampi. Se non polemiche, anche queste confinate nelle due ore di dibattito che le camere hanno doverosamente concesso ai problemi sollevati da Scalfaro (l’unità della nazione di fronte agli attacchi della Lega Nord) e Ciampi (il pluralismo dell’informazione). Se il presidente della Repubblica ha cambiato idea è certo, come ha detto, perché «la drammatica questione carceraria» deve essere affrontata «in tempi stretti» visto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato tempo all’Italia fino a fine maggio 2014 per rimediare allo «strutturale e sistemico sovraffollamento carcerario» italiano (un primo passaggio di verifica ci sarà già a novembre), ma anche perché il capo dello stato è consapevole del forte ascendente che in questo momento può esercitare sui due terzi del parlamento. Proprio i due terzi che dal 1990 servono per approvare i provvedimenti di amnistia e indulto.

Di amnistia e di indulto il capo dello stato ha parlato lungamente e con precisione nel suo messaggio, così come aveva preannunciato a Napoli durante la visita al carcere di Poggioreale. Prima però Napolitano ha passato in rassegna due tipi di interventi «ordinari» che il parlamento potrebbe prendere, o favorire, per ridurre la pressione nelle carceri. Leggi «deflattive» come la delega in discussione al senato (dove però il testo approvato alla camera è stato modificato) che affida al giudice di merito la possibilità di imporre direttamente la messa alla prova o la detenzione domiciliare al condannato. Oppure una revisione più incisiva della legge Cirielli, che continua a ostacolare l’ammissione dei recidivi alle misure alternative. Oppure ancora quella depenalizzazione dei reati minori attesa da anni. Misure ordinarie potrebbero essere, secondo Napolitano, anche la possibilità di far scontare la pena nel paese di provenienza agli stranieri (solide ragioni di diritto internazionale e costituzionale limitano i trasferimenti a qualche decina al mese, mentre i detenuti stranieri in Italia sono circa il 35% del totale) e la costruzione di nuove carceri (il governo prevede 10mila nuovi posti entro fine 2015, e resta il problema del personale di polizia penitenziaria). Ma prima di tutto e con più urgenza Napolitano pone al parlamento il problema delle misure di clemenza, rimedi «straordinari».

Dal 1953 al 1990, ricorda il presidente della Repubblica, c’è stata un’amnistia – in genere abbinata all’indulto – ogni due-tre anni. Dal 1990, anno in cui è stata cambiata la Costituzione per inserire il quorum dei due terzi dei componenti di ogni camera per approvare questo tipo di leggi (quorum richiesto per ogni articolo, oltre che per il voto finale), solo una legge di indulto è stata approvata (nel 2006). Le ragioni secondo il capo dello stato non vanno cercate tanto nella modifica costituzionale, quanto in una «ostilità agli atti di clemenza diffusasi nell’opinione pubblica» che più correttamente spiega anche la modifica della Carta. Ragione per cui il compito che dovrebbe assumersi il parlamento è quello assai arduo di affrontare il senso comune e imporre le ragioni della civiltà e della costituzione (il precedente non conforta, visto che l’indulto del 2006 è stato subito misconosciuto dai partiti che lo avevano votato). Ma anche la ragione pratica dei conti pubblici: la sentenza che a Strasburgo ha condannato l’Italia è una sentenza pilota destinata ad essere estesa a migliaia di detenuti italiani, che avranno diritto a un risarcimento. «Di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e a un imperativo morale e giuridico – scrive Napolitano – ritengo sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all’adozione di atti di clemenza generale».

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