Gli Indiani del Nordamerica sono gli indigeni più noti all’uomo della strada, che li ha conosciuti attraverso centinaia di film e romanzi, da L’ultimo dei Mohicani (1826) a Balla coi lupi (1990). Al tempo stesso, però, gli Indiani hanno pagato questa notorietà con molti stereotipi. Un bagaglio nefasto di cliché aggravato da un paradosso: le generazioni del primo dopoguerra, mentre toccavano con mano gli orrori della Shoah, venivano educate a vedere nello sterminio degli Indiani una pagina eroica.

Il fumetto, al contrario, si è schierato spesso dalla parte dei «pellerossa»: basti pensare a Gianluigi Bonelli, creatore di Tex, che fin dall’inizio (Il patto di sangue, 1950) si è caratterizzato come amico dei Navajo. All’epoca il cinema si muoveva in direzione opposta, dipingendo gli indigeni nordamericani come selvaggi analfabeti e sanguinari, secondo una regola alla quale faceva eccezione soltanto L’amante indiana (Broken Arrow, 1950), primo film dove il mohawk Jay Silverheels è il primo attore indiano che interpreta un ruolo di rilievo.

Da allora le storie vere o fittizie degli Indiani nordamericani hanno continuato a popolare la nona arte, da Luís Garcia (La mort de l’indien, 1980) a Michel Faure (Camargue rouge, 2013), dai numerosi lavori di Paolo Eleuteri Serpieri a Tutto ricominciò con un’estate indiana (2009), realizzato da Hugo Pratt e Milo Manara.

In questo filone si inserisce a pieno titolo Indians! L’ombre noire de l’homme blanc (Bamboo, Paris 2022, pp. 120), una bella antologia ideata da Tiburce Oger insieme a Hervé Richez e disegnata da alcuni dei principali nomi del fumetto francofono. Dopo il successo di Go West Young Man (Bamboo, 2021), i due soggettisti francesi propongono un’opera che rende omaggio ai popoli amerindiani, ma in realtà apertamente dedicata «a tutti i popoli e alle loro diversità».

Per assemblare questa antologia sono stati coinvolti sedici artisti, ognuno dei quali ha illustra una delle altrettante storie scritte da Tiburce Oger. Alcuni di loro avevano già partecipato al volume precedente, come Dimitri Armand, Dominique Bertail, Michel Blanc-Dumont, Benjamin Blasco-Martinez, Paul Gastine, Hugues Labiano, Félix Meynet, Christian Rossi, Corentin Rouge e Ronan Toulhoat.

Questo nuovo volume vede l’arrivo di nomi altrettanto prestigiosi, fra i quali Laurent Astier, Laurent Hirn e Jef, già noti per i loro lavori ambientati nell’America coloniale dei secoli scorsi. Senza dimenticare lo svizzero Derib, autore della celebre serie western Buddy Longway. Gli album collettanei ben riusciti sono rari, ma questo è un lavoro prezioso che merita di essere annoverato fra le poche eccezioni.

A prima vista un fumetto dedicato agli Indiani non sembra una novità. Ma contrariamente alla maggior parte dei lavori analoghi, che si concentrano sulle guerre indiane del diciannovesimo secolo, Indians! possiede un respiro temporale che spazia dalla metà del Cinquecento alla fine dell’Ottocento.

In questo modo viene apertamente rifiutata la vecchia logica eurocentrica che considera gli Indiani soltanto come nemici di un paese teso all’espansione, in altre parole il canonico Far West descritto da centinaia di film.

L’ampiezza storica diluisce la vulgata del sogno americano fino a sbriciolarla. L’obiettivo è quello di archiviare le logore reliquie del sogno americano e ascoltare la voce di coloro che sono cresciuti nell’incubo americano. L’album ci permette quindi di cancellare i noti stereotipi e di sostituirli con una narrazione vera, viva, palpitante.

Alla varietà storica fa riscontro quella stilistica, che spazia dal realismo di Félix Meynet al tratto accurato di Paul Gastine, che apre e chiude l’opera. Questa varietà, comunque, non compromette l’omogeneità dell’insieme.

Ogni storia è preceduta da un breve testo dove ricorre l’aquila, animale simbolico centrale nelle culture indiane, che rappresenta il filo conduttore dell’antologia. I personaggi e le atmosfere sono crudi, realistici, lontani dagli stereotipi. Se qualcuno dubita ancora che il fumetto sia un’espressione artistica degna di questo nome, Indians! lo aiuterà a cambiare idea.

Alternando su fatti e personaggi reali ad altri immaginari, le storie mettono in luce molti episodi legati alla colonizzazione: oppressione, massacri, guerre, malattie diffuse intenzionalmente. Un vero e proprio genocidio, che nonostante la sua evidenza viene ancora minimizzato se non addirittura negato.