Come nel precedente Cos’hai nel sangue anche il titolo del secondo romanzo di Gaia Giovagnoli, appena pubblicato da Nottetempo, racchiude una domanda: Chiedi se vive o se muore (pp. 224, euro 16)
India, la giovane protagonista, cartomante e studiosa di antropologia (caratteristiche che condivide con l’autrice) si affida ai tarocchi per antivedere il futuro e insieme indagare il proprio passato alla disperata ricerca di un senso: «Oggi capisco che si può avere solo una piccola chiave di lettura delle cose che ci circondano. Il silenzio è troppo ingombrante per affrontarlo ogni giorno. Quello che si può fare è prestargli una lingua, dargli la forma di uno scarabeo che caracolla. Le cose succedono e basta, esistono e basta, ma l’unico modo per conoscerle è farle succedere a noi, rendendole coerenti nel ricordo, attirandole nel centro magnetico della nostra storia e dando loro un nome, una ragione, un inizio e una fine, in certi casi una morale. La divinazione esiste per questo».

PROTAGONISTI ASSOLUTI del romanzo, i tarocchi rappresentano un vero e proprio congegno narrativo a cui, non a caso, Giovagnoli affida l’architettura del romanzo, scandita da ventidue capitoli, ognuno dei quali porta il nome di una delle ventidue carte degli arcani maggiori, seguita da alcuni dei suoi possibili significati: «Il Bagatto. Carta uno. Inganno. Astuzia. Impulso». Attraverso i tarocchi India indaga il tragico epilogo della storia con Leo: la reclusione, a cui Leo l’ha costretta, dopo aver scoperto il suo tradimento con Yari, e il volo (o caduta?) dello stesso Leo giù dal secondo piano dopo che India se n’è andata di casa.
«Da quando si iniziano a contare, le cose brutte?», si chiede India. «Il mio calcolo è scostante, fa lunghi salti nel tempo». L’insistenza con cui Giovagnoli ritorna sull’aggettivo «brutto» appare un tentativo da parte di India di dissimulare, esorcizzare e pure «infantilizzare» il male che si annida nelle sue relazioni, a partire da quella con la madre. L’amore tra India e Leo rientra a pieno titolo tra gli amori tossici descritti da Laura Pigozzi nel suo ultimo libro (Amori tossici, Rizzoli), in cui i confini sono perturbati, «il limite tra due esseri è confuso» ; prendendo a prestito l’immagine di Kristeva nel saggio Poteri dell’orrore, si può dire che India e Leo sono caduti al di là del limite, e che nella loro storia c’è un compiacimento nell’abiezione: «Se ripenso a te che mi hai sbattuta a terra e mi hai chiusa al buio, il mio corpo reagisce bagnandosi. Lo fa quasi in automatico. L’erotismo, così, sembra qualcosa di epico: disarma il male, non importa quanto sia grande, e lo trasforma nel suo contrario – con l’effetto che nulla può più fare davvero danni».

COLPISCE LA CAPACITÀ di questa giovane scrittrice di descrivere la violenza, di dare voce a ciò che è abietto, e nel contempo di avviare una riflessione profonda, mai banale. India confessa l’inconfessabile e «sceglie» come proprio interlocutore l’ex fidanzato, che in seguito alla caduta si trova in coma in un letto d’ospedale.
È a questo «tu» che India si rivolge con una prosa feroce, a tratti allucinata, cercando di affrancarsi, e insieme scoprendo con grande lucidità le radici in comune del loro male: «Scegliemmo i genitori sbagliati – tu il tuo morto; io mia madre. Un colpo di fucile e gli schiaffi. Se ci chiedono di noi, finiamo a parlare di loro. Ma guardali bene: sono persone che, a un certo punto, pensammo di poter aggiustare perché eravamo i figli – i sacri splendidi luminosi figli – e non bastò».