India, attiviste contro le violenze sulle donne
Femminicidio L’attenzione verso il femminicidio in India è aumentato da quando nel dicembre del 2012 una ragazza di 23 anni fu violentata da quattro uomini su un autobus a Delhi
Femminicidio L’attenzione verso il femminicidio in India è aumentato da quando nel dicembre del 2012 una ragazza di 23 anni fu violentata da quattro uomini su un autobus a Delhi
Sabato 31 maggio una ragazza di 22 anni è stata costretta a bere acido, è stata stuprata e strangolata nello stato settentrionale indiano dell’Uttar Pradesh. Mercoledì 28 maggio a Katra, del distretto di Badaun, sono stati trovati i corpi di due ragazze di 14 e 15 anni che erano state violentate e poi impiccate a un albero di mango (le foto delle due giovani donne sono state diffuse dalle agenzie fotografiche e pubblicate da quotidiani e siti «per dovere di cronaca», con conseguente discussione se fosse stato corretto o meno averlo fatto). Solo a New Delhi ci sono stati 572 casi di stupro nel corso del 2011, oltre seicento nell’anno successivo; tra il primo gennaio e il 30 aprile di quest’anno sono state registrate 616 denunce di stupro e 1.336 per molestie sessuali, con un aumento del 36 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013.
L’attenzione verso il femminicidio in India è aumentato da quando nel dicembre del 2012 una ragazza di 23 anni fu violentata da quattro uomini su un autobus a Delhi: da allora il governo indiano ha adottato una serie di misure per modificare varie sezioni del codice penale e aumentare le punizioni contro lo stupro, estendendo a questo reato anche la pena di morte. In materia si è anche pronunciata, nel luglio del 2013, la Corte Suprema dell’India stabilendo una serie di regole piuttosto severe per regolamentare la vendita di acido al dettaglio e ordinando di aumentare il valore dei risarcimenti previsti per chi veniva aggredita.
Diverse attiviste indiane contro la violenza sulle donne, come ad esempio Alox Dixiti di «Stop Acid Attacks», sono concordi nel dire che la questione riguarda tanto la gestione dei casi da parte delle autorità – in molti casi è la polizia stessa che invita a non denunciare lo stupro – quanto un lavoro culturale più radicale. Qualcosa è stato fatto, ma non abbastanza. Sul primo fronte viene citato spesso il caso del Bangladesh che nel 2002 ha emanato due leggi molto severe per quanto riguarda il problema il cui effetto combinato permette che le indagini sui casi di aggressione con l’acido debbano essere completate entro 30 giorni e che la sentenza venga pronunciata dal giudice entro 90 giorni.
Sul secondo fronte, quello «culturale», la storia è ancora tutta da scrivere (e non solo in India). Lo sanno bene le femministe e le associazioni di donne che lavorano da decenni sulla violenza di genere. «È necessario cambiare le risposte degli Stati. Noi donne chiediamo di non uccidere in nome delle donne. Noi donne esigiamo di andare alle radici del male: prevenire, educare, dare strumenti di autodeterminazione» (La Rete delle reti femminili, settembre 2013). Ci si chiede anche che come si possa agire, da qui.
Ecco allora che c’è chi ha scritto all’Ambasciatore dell’India in Italia, all’Ambasciatore italiano in India e in Nepal e alla Ministra degli Esteri Federica Mogherini C’è chi ha inviato una lettera all’ambasciata italiana di Roma, come l’organizzazione «Le nostre figlie non sono in vendita», per comunicare la decisione di sospendere qualsiasi viaggio verso l’India, paese fra le mete turistiche più visitate al mondo, «fino a quando non arriveranno segnali forti di contrasto verso lo stupro» (qui l’appello: http://politicafemminile-italia.blogspot.it/2014/05/ragazzine-stuprate-e-uccise-in-india.html)
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