Indagine sull’idillio mitologico tra esseri umani e ambiente
Scaffale Il volume fotografico di Nerina Toci, «Un seme di collina» a cura di Davide Di Maggio, edito da Mudima
Scaffale Il volume fotografico di Nerina Toci, «Un seme di collina» a cura di Davide Di Maggio, edito da Mudima
Agrifogli e biancospini, tassi, aceri, meli selvatici, frassini e anche faggi popolano i boschi del Parco dei Nebrodi. Presenze diffuse anche nelle pagine di Un seme di collina (Mudima, pp. 178, euro 30), a cura di Davide Di Maggio, secondo libro fotografico di Nerina Toci (Tirana, Albania 1988, vive e lavora tra Palermo e Milano) in cui la luce avvolge i corpi femminili rivelando l’incanto di un momento sospeso tra realtà e sogno.
IL BIANCO E NERO restituisce l’indefinitezza della conoscenza, eppure la fotografa scatta sempre a colori perché è così la sua percezione del mondo. Ma il digitale offre questa meravigliosa opportunità e lei interiorizza ed elabora l’istintività di un gesto proprio nel passaggio alla riduzione cromatica. Nerina Toci ha riconosciuto come luogo di appartenenza, meta esclusiva nella geografia dei sentimenti, questo angolo della Sicilia sfiorato dalla mitologia e calpestato dagli zoccoli dei cerbiatti che ne hanno lasciato traccia nel suo nome («nebros» in greco antico vuol dire cervo).
IN QUESTO SCENARIO remoto, tra scorci panoramici e geometriche ricostruzioni dello sguardo attraversate dall’inquietudine, il senso del dolore si ricongiunge con l’anelito di bellezza. La fotografa parla di archetipo riferendosi alla scelta del corpo femminile come modello unico dal valore esemplare. Portando avanti da autodidatta la sua personale ricerca attraverso il mezzo fotografico che accompagna spesso alla scrittura, dal 2015 al 2017 (data d’inizio della serie frammentaria raccolta in Un seme di collina e tuttora un work in progress) Toci si è emancipata dall’autorappresentazione spostandosi dalla dimensione individuale a quella universale. Le sue fotografie traducono visivamente la complessità dei rapporti di amicizia, complicità, empatia, della proiezione del sé nell’altro. Quanto all’idillio essere umano/ambiente è esplicito nell’immagine con il corpo nudo dalla posa plastica che si fonde alla «morbidezza» della veduta panoramica del paesino di Mistretta.
UN INCONTRO particolarmente significativo quello con Marianna, modella in questo scatto e in numerosi altri, che per le sue esperienze di vita, la sua forza e le fragilità incarna per la fotografa l’essenza stessa della sua ricerca di realtà. «Marianna è la natura. Ma negli scatti ci sono anche altre donne che ho incontrato nel tempo. Del corpo femminile non sono interessata all’aspetto fisico in sé, ma a ciò che quel corpo contiene, anche alla dissociazione che avviene tra corpo e mente – spiega Nerina Toci – Non mi sono ispirata al lavoro di altri fotografi, semmai alla pittura e alla poesia, al cinema di Kubrick, Antonioni e Bergman».
ALTRA FIGURA CHIAVE nel suo percorso personale e professionale è quella di Letizia Battaglia a cui è legata da un lungo rapporto di stima, affetto e amicizia. Non è solo per via dell’estrema sensibilità e dell’attenzione che condividono nei confronti del femminile, «Letizia è stata fondamentale nello sviarmi da qualcosa che dovevo smettere di cercare in modo ossessivo».
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