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Incubi digitali che raccontano scenari possibili

Incubi digitali che raccontano scenari possibili

SCAFFALE Un percorso a partire dalla serie tv «Black mirror» che segna alcune inquietudini del presente

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 7 febbraio 2019

L’industria culturale è in grado di dare vita a prodotti che riescono a offrirci delle illuminanti visioni sulle frontiere più avanzate di evoluzione delle società contemporanee. Ci sono oggi, per esempio, diverse serie televisive che s’interrogano sui possibili incubi che potrebbero presentarsi nel nostro futuro: Revolution, Sense8, Mr. Robot, Humans, Westworld, Utopia, Stranger Things. Ma è soprattutto la serie britannica Black Mirror a essere interessante da questo punto di vista.
Creata nel 2011 per la casa di produzione Endemol dal giornalista, produttore e sceneggiatore Charlie Brooker, che si è ispirato alla serie fantascientifica statunitense degli anni Cinquanta e Sessanta Ai confini della realtà, è arrivata alla quinta stagione ed è composta di episodi concepiti come storie totalmente autonome.
Black Mirror ci stimola a riflettere su come i media stiano modificando il nostro rapporto con la realtà, rendendolo sempre più problematico. Non a caso Ricordi pericolosi, l’ultimo episodio della prima stagione di Black Mirror, ha mostrato come i media modifichino oggi il nostro rapporto con il tempo in conseguenza del loro costante tentativo di registrare gli avvenimenti della nostra vita.

IN QUESTO EPISODIO, uno speciale «registratore», installato dietro l’orecchio e sotto la pelle, documentava tutto consentendo anche di ritornare con un telecomando su quello che si era già vissuto. Sembra la soluzione ideale per avere il controllo totale della realtà, eppure – come ha mostrato la storia raccontata in Black Mirror -, ciò produce solo preoccupazioni e sofferenze.
È noto infatti come il cervello umano non ricordi tutto e registri solo quello che gli è necessario, dimenticando le esperienze inutili e negative. Funzioni cioè come una specie di «balsamo miracoloso» per i problemi quotidiani delle persone. Un beneficio che il registratore implacabile dell’episodio di Black Mirror tendeva ad eliminare.
Secondo il giovane studioso Damiano Garofalo, che ha scritto il libro Black Mirror. Memorie dal futuro (Edizioni Estemporanee, pp. 93, euro 13), la serie di Brooker è partita da una visione decisamente negativa e distopica della realtà, ma poi ha modificato la propria prospettiva, immaginando non tanto una società totalmente governata dai media, ma un mondo dominato dagli esseri umani attraverso le tecnologie mediatiche. In Black Mirror gli schermi dei media si fondono con i corpi delle persone, trasportati sulla cornea o installati direttamente nel cervello, ma i ricordi delle persone vengono impiegati allo scopo di creare una nuova realtà parallela in cui è possibile anche vivere definitivamente. Si attivano cioè dei processi di «esternalizzazione del sé» che utilizzano principalmente i media, ma di cui gli individui sembrano essere attivamente consapevoli.

DUNQUE Black Mirror può essere considerata una serie di fantascienza? Cioè ci parla del nostro futuro oppure del nostro presente? La risposta del giornalista e ricercatore Fabio Chiusi è che «Black Mirror ci convince che la sua finzione è la nostra realtà, che la sua è una storia di questo mondo». Infatti, nel volume Io non sono qui. Visioni e inquietudini da un futuro presente (DeA Planeta Libri, pp. 270, euro 16), che assurdamente non contiene un indice, Chiusi parte da alcune vicende raccontate in Black Mirror per ragionare sulla complessità e soprattutto sull’ambiguità del nostro rapporto con le tecnologie informatiche e mediatiche.
Per analizzare cioè dei fenomeni che sono sempre più rilevanti all’interno delle società contemporanee: la crescente delega attribuita dagli esseri umani agli algoritmi dei siti di dating per la costruzione delle loro relazioni affettive (sebbene essi non abbiano ancora dimostrato di poter essere affidabili sul piano scientifico), una serie di pratiche che si vanno sempre più sviluppando in conseguenza dell’illusoria speranza di poter diventare immortali, la crescente dipendenza delle persone nella vita online dai giudizi e dai punteggi che vengono attribuiti dagli altri. E si potrebbe continuare.

Chiusi ci avverte però che le tecnologie mediatiche deludono regolarmente le aspettative che riescono a creare. Ci lasciano soli e senza più guida. Perché prima o poi il loro sistema operativo smette di funzionare. E gli strumenti informatici tornano dunque ad essere dei semplici oggetti. Non più degli affascinanti mondi, ma dei banali assemblaggi di pezzi di plastica e di metallo. Degli schermi spenti e inanimati. E quando uno schermo è spento sembra uno specchio nero, un «black mirror» appunto. Black Mirror allora ci parla di una realtà sociale che apparentemente è diversa dal nostro mondo, ma in realtà gli assomiglia molto. Assomiglia cioè a ciò che è stato descritto dal giornalista statunitense Franklin Foer nel recente libro I nuovi poteri forti. Come Google, Apple, Facebook e Amazon pensano per noi (Longanesi, pp. 297, euro 22). Foer ha messo in luce infatti come le nuove aziende operanti nell’ambito delle tecnologie digitali non si accontentino di svolgere un ruolo economico, né di indurre l’intera società a lavorare per loro, ma tendano ad occupare la nostra esistenza e persino il nostro spazio mentale. Cercano infatti di svegliarci al mattino, di guidare i nostri comportamenti attraverso il loro software di intelligenza artificiale e di restare sempre al nostro fianco in qualità di «assistente personale».

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