Era il 1960 quando Giovanna Marini incontra per la prima volta, in un attico a Piazza di Spagna, Pier Paolo Pasolini; un incontro che segnò per sempre l’allora giovane musicista che da quel momento dedicò la sua vita alla ricerca, allo studio e riscrittura dei canti presenti nel cuore e nella memoria della gente, i canti orali della tradizione popolare e contadina.

Dopo il film documentario A sud della musica – la voce libera di Giovanna Marini, il regista e giornalista Giandomenico Curi torna a raccontare nel suo libro Il me pais al è colòur smarit – Pier Paolo Pasolini e Giovanna Marini (ed. Besa Muci) il viaggio della cantautrice nel vasto repertorio della musica popolare italiana, un viaggio che si lega profondamente all’incontro con le opere del poeta friulano.
Non è un caso che Curi dedica il primo capitolo del saggio al rapporto di Pasolini con la musica: l’incontro con la violinista slovena Pina Kalc, figura fondamentale per le attività dell’Academiuta, ma soprattutto con la lingua friulana e il suono della poesia contadina da cui nascerà il Canzoniere italiano. Come racconta Giovanna Marini tra le pagine del libro di Curi, il rapporto con le opere e la figura di Pasolini si fa più intenso con la morte del regista nel 1975, un dolore immenso per la cantautrice che dedica a Pasolini il brano Persi le forze mie, pubblicato nel disco storico I treni per Reggio Calabria, pezzo che successivamente diventerà Lamento per la morte di Pasolini pubblicato nell’album Correvano coi carri. Giandomenico Curi analizza in maniera precisa e dettagliata la genesi dei due celebri album così come gli elementi che caratterizzano il canto funebre, il lamento e lo svolo che Marini studia e acquisisce nei suoi viaggi in Puglia nel Salento.

Come spiega l’autore del libro i due album sono tra i lavori più importanti della cantautrice romana, album in cui prendono corpo gli studi dei brani tradizionali del sud Italia e soprattutto l’impegno politico e di denuncia di Marini. Se in I treni per Reggio Calabria emerge un Meridione affamato, dimenticato e ingannato, come nelle due ballate contro il ministro democristiano Colombo, in Correvano coi carri Marini racconta la città urbana e l’universo borghese, il terrore degli anni ’70 e l’oppressione della classe operai riprendendo così il «Processo» filosofico che Pasolini avanzò in seguito alla sconfitta democristiana alle elezioni amministrative del 1975. Giovanna Marini, racconta Curi, riprenderà il dialogo con le opere di Pasolini in maniera più intensa nel 1984, creando per il Festival d’Automne di Parigi lo spettacolo Pour Pier Paolo, un’opera costruita intorno al suono e alla musica delle poesie in friulano dello scrittore di Casarsa; e a metà degli anni novanta con l’opera teatrale di Pasolini I Turcs Tal Friul messa in scena da Elio De Capitani per cui Marini compone e dirige le musiche. L’ultimo dialogo tra Marini e Pasolini sono Le ceneri di Gramsci (2005), un oratorio a più voci in cui emerge la potenza del nuovo linguaggio poetico sperimentato da Pasolini; e Sono Pasolini (2015) opera che chiude, nella sua struttura che abbraccia e unisce le prime opere in friulano con le opere più mature dello scrittore, il lungo viaggio e confronto di Giovanna Marini con la figura di Pier Paolo Pasolini.

Il libro di Giandomenico Curi è una lettura profonda del lavoro compositivo di Giovanna Marini attraverso la raccolta di interviste, recensioni e ricordi che ricostruiscono non solo il rapporto tra Marini e Pasolini, ma sopratutto l’analisi e scrittura che la cantautrice fa della storia italiana. Il volume sarà presentato domani alla fiera della piccola e media editoria «Più libri più liberi» dall’autore e da Gianfranco Capitta (ore 14 Sala Giove)