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Incipriato di noia e scettico, Montale si spoglia 272 volte

Incipriato di noia e scettico, Montale si spoglia 272 voltePromontorio di Punta Mesco tra Monterosso e Levanto, veduta del golfo dal «semaforo», un faro abbandonato della Marina Militare

Novecento italiano Francesca Castellano raccoglie cinquant’anni di testimonianze orali rilasciate alla stampa dall’autore degli Ossi: Interviste a Eugenio Montale (Società Editrice Fiorentina), sorta di autobiografia in frantumi all’insegna del ridimensionamento

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 19 luglio 2020

Qualche anno fa (2011), in un saggio erudito e divertito (sempre un’eccellente ricetta) dedicato a Montale e «Playboy», ovvero a un’intervista rilasciata dal poeta al famoso mensile di intrattenimento e cultura per il tramite di Guido Vergani nel febbraio 1976 (il primo titolo in copertina, con in sfondo la foto di rito, era «Si spoglia anche Giovanna Ralli!», sovrastante «Montale: “Nobel ma non troppo”», qualunque cosa volesse significare), Franco Contorbia coglieva alcuni luoghi ricorrenti nelle interviste montaliane, a partire dalla frequente «apologia della “decenza quotidiana”».
Riproponendo l’intervista, non segnalata nella bibliografia montaliana allora di riferimento (di Laura Barile, 1977), Contorbia vi allegava alcune postille, per questioni di dettaglio – ma anche no – trascurate pure nella più volte ristampata affettuosa biografia di Giulio Nascimbeni, che dalla prima comparsa (’69) all’ultima (’86), oltre che arricchirsi e mutare titolo, adottava nella revisione, non solamente per tratto storico-stilistico, ma per pudore e decenza, scomparso il poeta, il cambiamento del tempo verbale, passando dal presente all’imperfetto. Una di queste postille dava conto della passione di Montale per Cléo de Mérode, «la leggendaria ballerina francese, oggetto di un desiderio condiviso da Eugenio con il fratello Ugo». Un’altra postilla radunava due testimonianze messe per iscritto da Giampaolo Pansa. Sulla Stampa, il 23 febbraio 1972: «Montale ha i capelli candidi e viso da fanciullo, si muove a passettini nella sua casa di via Bigli, trascinando le pantofole in un soggiorno silenzioso e spoglio. Dalle finestre piove luce grigia, c’è qualche libro, non vedo riviste tranne “Il meglio di Playboy”»; e poi (2010), decorando, nel capitolo di I cari estinti dedicato al «Tonno», Arrigo Benedetti: «eravamo nel 1972 (…) Gli raccontai che ero stato a intervistare Eugenio Montale, il grande poeta. E che l’avevo trovato seduto in poltrona mentre studiava le foto delle ragazze nude di “Playboy”. Esaminava i dettagli grazie a una lente d’ingrandimento. Il Tonno mi regalò una smorfia indescrivibile. E non volle dire niente». Sommando l’antica passione per Cléo De Mérode e l’indagine delle illustrazioni di «Playboy» tramite lente d’ingrandimento, ci si potrebbe chiedere se i versi degli Ossi di seppia sul poeta e le «donne pubblicate», individuate di solito come prostitute, non abbiano invece a che fare con le donne che appaiono su carta stampata («Non ho che queste parole / che come donne pubblicate / s’offrono a chi le richiede»), prima che arrivi una Clizia redentrice e salvifica.
Non è dato sapere se il tempo intercorso tra la spiata di Pansa e l’intervista all’edizione italiana del mensile illustrato sia stato il tempo di corteggiamento della rivista al poeta o il tempo necessario al poeta, investigando, per decidersi a rilasciare l’intervista. Quattro anni sono troppi per l’una cosa e per l’altra, e nel frattempo arrivò il Nobel, che accelerò e decise la questione. Ma Montale – fosse recita o no – qualche perplessità l’affacciò prima di cominciar liberamente a dire: «Dovrei raccontarmi, celebrarmi, ricamarmi ricordi addosso, in mezzo ai nudi, alle donnine, alle conigliette? Mah. In fondo, mi fa allegria. Pensare che mio padre mi tenne il muso per giorni, perché mi aveva sorpreso estatico, sognante davanti a una foto di Cléo De Mérode. Del resto, non ho mai creduto al poeta aureolato che si tiene a distanza dalle cose del mondo» (quella foto! Quanti anni erano passati da quando Gozzano – su cui Eusebio dichiarò di aver scritto solo per un allettante compenso – si immalinconiva di fronte alla cartolina della Bella Otero alle specchiere?).
Sulla difesa della decenza quotidiana con la quale si congedavano le comunicazioni ai lettori di «Playboy» («Che cosa vorrebbe si dicesse ancora di lei?» «Che ho vissuto con una certa coerenza e con decenza quotidiana»), una verifica potrebbe farsi adesso che quell’intervista entra nell’imponente corpus costruito – con ricognizioni che possono immaginarsi nonché impervie tali da mettere a dura prova la fatica e la pazienza, e la capacità di sopportare la sorte inevitabilmente avversa in simili imprese – da Francesca Castellano: due volumi che, sotto il titolo Interviste a Eugenio Montale (Società Editrice Fiorentina, pp. XLVIII-1119, € 90,00), raccolgono quanto il poeta ha trasmesso oralmente (tramite stampa: sono escluse le interviste radiotelevisive) ai suoi inquisitori in mezzo secolo giusto giusto, nell’arco di tempo che va dal 1931 al 1981. E dove si possono leggere adesso le pagine di Vergani su «Playboy» e Pansa sulla Stampa sopra citate.
Senonché mentre si prova a verificare, si è distratti da altre faccende, a partire dal tono sempre un po’ distaccato e un po’ scettico, incipriato di noia, assunto dall’intervistato, somigliante da vicino – alla verifica stavolta provvedono celermente le documentazioni archiviate perfino su Youtube – al modo in cui, invece che leggerle, Montale lasciava scivolare via le proprie poesie di fronte a un microfono (c’è un Meriggiare pallido e assorto che grida vendetta di fronte al tribunale delle muse). In questa direzione si muovono anche, almeno da un certo momento in poi, da quando cioè il passato è divenuto sufficientemente lungo, certi costanti ridimensionamenti e minimizzazioni, per cui una rivista da tutti considerata capitale diventa «la rivistina “Solaria”» in un’intervista a Leone Piccioni (1966), avendo presumibilmente dimenticato almeno il leggendario incipit di uno dei primi pezzi a lui dedicati, Cena con Montale di Cesare Zavattini (1941): «In dieci mesi di permanenza a Firenze come soldato non ebbi mai la tentazione di vedere la Galleria degli Uffizi, il Davide, simili cose famose. I miei monumenti erano Montale e gli altri di “Solaria”». Oppure dubbiose coincidenze, nella stessa intervista a Piccioni: «“12 ottobre 1896 è la sua data di nascita?” “Sì, la scoperta dell’America…, non è merito mio… Mi pare che non sia neanche un merito di Colombo, non so, si discute su questo…”». Tanto da insinuare il dubbio che l’indole portasse Montale a credere privi di interesse oltre che se stesso, le cose (celebrate o no) e gli individui e la famosa Storia maestra di nulla che ci riguardi, come dice Satura. Dunque, ridimensionamenti e minimizzazioni erano una specie di supplenza a questa mancanza o a insufficienza di interesse: e il parlarne con quel tono era una forma anticonvenzionale di avvicinarsi all’attualità e alla memoria. Senza dimenticare la questione pratica di dover far fronte a una certa carenza di fantasia intervistante, che costringeva uno convinto di esser vissuto al cinque per cento a tornare spesso su medesime questioni, Genova per lui e le lezioni da baritono col maestro Sivori e le Giubbe Rosse e Monterosso…
Però il genere intervista godeva di una certa reputazione se, confezionando nel 1976 il volume Sulla poesia con Giorgio Zampa, ne furono accolte undici, compresa quella «immaginaria» (1946), poi punto d’appoggio di tanti ragionamenti su di lui e sulla sua poesia. Ora in questi due volumi Francesca Castellano ne accoglie duecentosettantadue, che incrementano anche qualitativamente le quarantanove già raccolte in uno dei tomi del Secondo mestiere nel 1996, sempre curato da Zampa. E ogni intervista può dare agio all’interpretare, come mostra in una sua pagina, servendosi di quella di Glauco Cambon, il vertiginoso affondo verso gli archetipi di Andrea Gareffi, L’“opus contra naturam” di Montale (Paolo Loffredo, pp. 206, € 20,00).
L’ampia introduzione della Castellano alle interviste montaliane è un serrato saggio biografico-critico sulla figura del pluriintervistato, una guida per orientarsi nell’«autobiografia in frantumi» che è «un ininterrotto ritratto nel tempo». E non è per niente trascurabile una nota-schedario dove – come appoggio alla dichiarazione che l’intervista è «un vero e proprio genere letterario autonomo, teso a delineare un profilo d’autore in grado di restituire ai lettori un’immagine “viva” del personaggio» – si elencano, per autore, le raccolte di interviste che hanno riguardato i più bei nomi del nostro Novecento, fino alla preziosa edizione recente delle Interviste (1955-1993) a Giorgio Bassani (a cura di Beatrice Pecchiari e Domenico Scarpa, Feltrinelli, pp. 408, € 25,00), legato a Montale non solo per il valore simbolico attribuito al tennis.

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