La capacità immaginativa è una caratteristica intrinseca dell’umano che ci consente di vivere nella dimensione della libertà, all’incrocio tra ciò che è «qui e ora» e l’«altrove», liberandoci dal regno della necessità. A questa capacità immaginativa, sul piano politico, è stato spesso dato il nome di «utopia», che viene coniato da Thomas More nel 1516 e che rappresenta l’essenza della cultura «moderna», nel suo sforzo verso l’«emancipazione» dell’individuo dai legami tradizionali e la realizzazione di una società giusta in cui bisogni individuali e beni collettivi, aspirazioni private e scopi pubblici possano trovare un’armonica compenetrazione. L’utopia rimanda a una concezione «aperta» dell’agire individuale e sociale, arricchita dalla dimensione della possibilità, contro ogni immagine dell’esistente cristallizzata in una concezione chiusa e determinata della realtà. L’idea di utopia si accompagna così alla concezione moderna dell’homo faber, che considera la «vita in comune» come un compito da realizzare secondo un progetto razionale che esprime la capacità umana di immaginare l’altrove.

SE IL CONCETTO di utopia declina l’attitudine immaginativa come l’aspirazione «moderna» alla giustizia e all’emancipazione – aspirazione oggi purtroppo fuori moda –, non possiamo dimenticare che della capacità di immaginare l’altrove troviamo importanti testimonianze in altre forme di vita, per esempio nella cultura classica e nel pensiero medievale. Alla ricostruzione delle immagini di alcuni luoghi fantastici elaborati nel Medioevo è dedicato il volume L’isola che non c’è: geografie immaginarie fra Mediterraneo e Atlantico di Antonio Musarra (Il Mulino, pp. 310, euro 29).

L’AUTORE RIPORTA alla luce decine di testi medievali e della prima modernità – alcuni noti (Isidoro di Siviglia, Marco Polo, Dante), altri meno (Dicuil, Giraldo di Cambria) – per riflettere sul significato dell’esplorazione dell’ignoto e della ricerca avventurosa delle isole che ha affascinato viaggiatori, naviganti e letterati e che ha determinato anche la storia dell’utopia. Lunghissimo è l’elenco di queste isole (soprattutto fantastiche, ma anche reali) tra cui troviamo le Isole Fortunate, l’isola di San Brendano, Thule, Canarie, Capo Verde, Hy-Brazil e Antilia, cioè i luoghi simbolici rappresentativi di un mondo «altro» in cui l’impossibile diventa possibile, soprattutto oltre le Colonne d’Ercole.

L’IMMAGINAZIONE degli scrittori, mista ai racconti dei viaggiatori, conduce a delineare figure umane fuori dall’ordinario e animali mostruosi, associazioni politiche giuste e paradisiache forme di vita comunitaria, così come usi e costumi feroci e «barbarici». Il volume ci mostra come per secoli l’immagine dell’isola sia associata alla fantasia del mitologico e del «totalmente altro» attraverso cui – seppur implicitamente – interviene anche una progressiva relativizzazione della propria civiltà, il cui primo testimone consapevole sarà Montaigne.
Esistono però molte differenze tra queste geografie immaginarie del Medioevo e le utopie moderne (di tipo stilistico, narrativo e argomentativo, per esempio). È soprattutto il cambiamento di prospettiva – da «spaziale» a «temporale» – a costituire un solco invalicabile tra i due modelli: nella modernità la capacità immaginativa non riguarda più un luogo distante geograficamente, bensì diventa il presupposto per un progetto di «futuro».

DALLA SECONDA METÀ del Settecento (pensiamo a Condorcet o all’opera L’anno 2440 di Louis-Sébastien Mercier) la capacità immaginativa si snoda all’interno di una temporalità lineare che diventa la condizione di possibilità del discorso utopico inteso come «attivismo rivoluzionario e prometeico», orientato all’azione politica e alla costruzione della società giusta nel futuro attraverso un intervento diretto dell’umano nella storia, alla quale possono contribuire tutti coloro che mirano a un’effettiva riorganizzazione sociale. Al contrario, i racconti fantastici dei classici e dei medievali hanno un carattere soprattutto antropologico e morale, talvolta religioso, talvolta conoscitivo, o anche di puro divertissement, perché vogliono indurre il lettore a riconoscere lo scarto tra il reale e il possibile, tra ciò che è (qui e ora) e ciò che potrebbe essere (l’altrove), ma non mirano a definire piani programmatici per l’azione politica.
Rimane tuttavia da chiedersi perché oggi sia tornato a essere prevalente questo modello classico e medievale di capacità immaginativa e sia invece entrato in un cono d’ombra ogni sguardo utopico che mira alla costruzione di un futuro migliore. In realtà, non sembra difficile trovare una risposta: si tratta dell’«ideologia dell’eterno presente», che rende più facile il dominio del capitalismo globale attraverso il governo suadente delle masse e dell’immaginazione sociale.