In un mondo di scarsità non c’è posto per i vecchi
Intorno alla metà degli anni Cinquanta Einaudi pubblicò un piccolo libro giapponese (tradotto bensì da un’edizione inglese in inglese) che si diceva fosse opera di un antropologo. Oggi, più di mezzo secolo dopo, ritroviamo questo gioiello in una nuova edizione, tradotto e curato con la consueta competenza da Giorgio Amitrano per Adelphi: Le ballate di Narayama, opera di un autore, Fukazawa Shichiro (di cui Amitrano dovrebbe tradurre anche altro). È noto da noi soltanto per questo piccolo capolavoro. Da quella storia furono tratti due film, uno a colori di Kinoshita Keisuke nel 1958, e uno in un bianco e nero, quasi documentario, di Imamura Shohei che meritò la Palma d’oro al festival di Cannes del 1983. Li ho visti e rivisti entrambi, il primo era un esempio straordinariamente riuscito di trasferire al cinema le regole del teatro kabuki, un film dove tutto vi era colorato, case e alberi compresi, come in Italia qualche anno dopo volle fare Antonioni con Deserto rosso, che fui tra i pochi ad amare. Chi ha in casa il Mereghetti veda le belle schede che trattano dei due film e li spiegano.
Ma perché il piccolo gioiello che è il racconto di Fukazawa mi sembra così bello e importante? Proprio per il valore più che etnologico con cui venne letto a suo tempo, per l’asciutta grazia con cui ci accosta a un problema di sempre: il posto dei vecchi in una società decisamente povera.
La «ballata» dice semplicemente che, in un mondo di scarsità, in un mondo contadino molto povero, non c’è posto per i vecchi, e alla scadenza dei settant’anni, nel villaggio sotto il Narayama, all’arrivo dell’inverno, i vecchi – quale che sia il loro stato di salute– vengono amorevolmente accompagnati sul monte e lì abbandonati, in attesa che la neve li seppellisca… Persone non più produttive, non più in grado di badare a se stesse? Sì, ma la regola dei settant’anni vale anche per la vecchia Orin che pure ha buona salute e che, prima della scadenza, vuole trovar moglie al figlio vedovo. Ha piena coscienza, Orin, delle ragioni profonde della crudele usanza che sta per riguardarla. Non si conoscono molti racconti altrettanto belli, terribili e pacati, sulla vecchiaia – anche se un altro grande giapponese, il regista Ozu Yasujiro, ha dedicato ai vecchi tanti suoi film, in pacata chiave realistica (per l’Italia, vengono in mente in cinema Umberto D. di De Sica, un episodio blasettiano e uno risiano, e qualcosa di Eduardo…).
Sì, tanto è cambiato nella condizione degli anziani nella società contemporanea, ma assai spesso, credo, in modi che si vogliono ipocritamente diversi, la condizione dei vecchi è ancora quella di un tempo: invece della montagna, la lenta agonia degli «astenotrofi».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento