In Trentino un «avambosco» di biodiversità
Montagna Le aree coltivate che dividevano i centri abitati dalle foreste sono sempre meno curate. Con gravi problemi per gli esseri umani e per gli animali
Montagna Le aree coltivate che dividevano i centri abitati dalle foreste sono sempre meno curate. Con gravi problemi per gli esseri umani e per gli animali
Nella vita moderna conviviamo quotidianamente con il fenomeno dell’urbanizzazione, dell’erosione dell’ambiente naturale; per contrasto nella società odierna si assiste alla mitizzazione della wilderness, intesa come l’insieme degli spazi selvaggi, il regno della natura incontaminata. Eppure, contrariamente a quanto si possa pensare, un ambiente naturale sano, ricco di biodiversità e capace di fronteggiare gli eventi meteorologici più intensi non è il risultato dell’assenza dell’uomo, quanto piuttosto di un suo rapporto equilibrato con la natura in determinati contesti. In particolare, il luogo dove per secoli questa interazione ha svolto la sua funzione regolatrice (ben prima che il termine trovasse un’accezione negativa legata alla recente cronaca romana) è il cosiddetto mondo di mezzo, le terre che dividevano i centri abitati dalle foreste.
OGGI CASTAGNETI, OLIVETI, lariceti, pascoli e aree prative miste con alberi da frutto (come ciliegi o noci), vivono sotto la crescente minaccia non solo dell’espansione delle aree urbane, come è facile immaginare, ma anche dell’inselvatichimento dovuto all’abbandono delle attività agro-silvo- pastorali. Una regione particolarmente interessante come campo di studi del fenomeno, vuoi per la varietà di climi e habitat, vuoi per la profonda trasformazione culturale ed economica dell’ultimo secolo, è il Trentino.
GIOVANNI GIOVANNINI, dottore in tecnologie meccaniche dei processi agricoli e forestali che lavora presso la Provincia Autonoma di Trento, ci spiega l’importanza dell’intervento umano nei nostri boschi: «Un tempo la montagna era un ambiente molto vissuto, con il triplo degli animali che ci sono ora. Ma oggi le persone legate alla pastorizia che lavorano in montagna sono molte di meno, il che significa l’abbandono di determinati luoghi e soprattutto la concentrazione delle attività in determinate zone. Lasciato a se stesso infatti il bosco avanza e divora i pascoli, e di conseguenza ci sono malghe abbandonate e altre sovraccariche di lavoro».
LA DIMINUZIONE DI PASCOLI alberati e prati riduce innanzitutto lo spazio vivibile per gli animali da allevamento, ma anche della fauna selvatica: per esempio ungulati, lepri e uccelli rari come gallo cedrone e gallo forcello. «Sono animali che prediligono sottobosco o prati alberati – ci racconta l’autore di Paesaggi agro-forestali in Trentino – Se non si eseguono pulizia e manutenzione la foresta diventa però un ambiente impenetrabile per loro e di conseguenza povero di biodiversità». Inoltre la concentrazione degli animali da pascolo in alcune zone prative, dovuta alla chiusura dei sentieri e dei passaggi nel bosco impoverisce i terreni più accessibili, vuoi per l’eccessivo sfruttamento, vuoi per la mancanza di un paesaggio misto: «La presenza di alberi nei prati permette di mantenere il terreno umido e parzialmente ombreggiato, un ambiente ideale. Ovviamente lariceti e faggeti richiedono una manutenzione che al giorno d’oggi non può essere più demandata ai singoli privati, visto che la manodopera legata a determinate attività si è ridotta molto: «È per questo motivo che la Provincia ha attuato un piano di recupero di alcune zone. Per esempio in Vallestrè (una zona di pascolo sul Monte Stivo, nel Basso Sarca, ndr) sono stati attuati degli interventi per ridurre la quantità di pino mugo e scavare pozze d’abbeveraggio. È incredibile come semplici operazioni di questo tipo permettano alla fauna locale di ripopolare in breve tempo zone altrimenti abbandonate per carenza d’acqua e impraticabilità del terreno».
QUESTE AZIONI GIOVANO NON SOLO ai pascoli, ma anche agli animali selvatici: ungulati, anfibi, uccelli. Avere aree più ampie per il pascolo e le colture permette poi di evitare lo sfruttamento intensivo degli stessi terreni, con effetti benefici a catena: «i prati madre facilitano lo sviluppo della biodiversità, dove si concima invece c’è una riduzione di orchidee e altri fiori». La riduzione delle specie vegetali limita la diffusione delle api e di altri animali di piccole dimensioni, che possono proliferare solo in un ambiente vario: «altrimenti vedremo sempre più spesso dei bei prati verdi – sintetizza Giovannini – che però saranno davvero solo prati verdi e non un ambiente vivo. Anche i muretti a secco sono un’incredibile risorsa per molte piccole specie, ma l’abbandono dei terrazzamenti nelle zone ora boschive ha privato fauna e flora di questo rifugio: «Nel corso del secolo scorso sono stati abbandonati i terreni più impervi perché non meccanizzabili come colture, ma quei ruderi e quei muretti che incontriamo ormai in pieno bosco ci raccontano di un territorio che viveva una presenza benefica dell’uomo». I muretti a secco, ma anche le siepi sono elementi preziosi, inseriti a dovere nel contesto naturale. Queste ultime per esempio agiscono da barriera per i fitofarmaci e drenano il terreno in caso di pioggia limitandone l’erosione, oltre che fornire anch’esse riparo ai piccoli animali. Così oliveti e castagneti non solo abbelliscono e arricchiscono il paesaggio, ma le stesse opere di confine possono diventare risorse per flora e fauna.
PURTROPPO, SE GLI OLIVI IN TRENTINO hanno goduto quasi sempre di grande attenzione, i castagneti invece hanno patito un periodo di abbandono marcato conseguente al declino dell’attività contadina in concomitanza con la crescita del lavoro industriale. Da risorsa economica e provvidenziale fonte di sostentamento alimentare in periodi di carestia, i castagni sono diventati progressivamente sempre meno indispensabili. I prati sottostanti le piante, che devono essere ben tenuti per permettere una raccolta agevole, sono stati riconquistati dal bosco, che spesso ha soffocato gli stessi alberi. I castagni sono piante delicate: lasciati a loro stessi possono morire facilmente per epidemie di parassiti e assenza di potatura. «Si rischia così di perdere nel breve esemplari che magari hanno 400-500 anni».
SE LA PROVINCIA DI TRENTO è all’avanguardia oggi nella gestione del patrimonio forestale, i vantaggi non sono solo evidenti dal punto di vista economico o per la qualità del legname selezionato: «Un bosco con troppa massa morta è più soggetto agli incendi e preda delle specie infestanti. In Provincia ci sono riserve integrali dove la natura ha spazio per la libera evoluzione, e altri boschi che vengono gestiti in maniera diversa. Un bosco impenetrabile, o troppo aperto, può essere preda di piante come l’Ailanto, che in pochi anni è capace di distruggere gran parte della varietà di un ambiente».
IL PROBLEMA DELLE SPECIE esotiche infestanti è di grande attualità e richiede altrettanta attenzione: «Il monte Brione (nel Garda Trentino, ndr) per esempio è un vero e proprio giardino, uno scrigno di biodiversità: sono presenti più di 500 specie, perché insieme alla coltura degli olivi e della vite vengono preservati il leccio e tutta la flora mediterranea. Ma se le colture venissero abbandonate, nel giro di nemmeno cinque anni perderemmo gran parte di questa varietà. È incredibile apprendere quanto siano veloci le specie infestanti a colonizzare un terreno. Con un grande lavoro in Provincia lavoriamo per il mantenimento di un equilibrio delicato».
LA CURA DEL TERRITORIO ha poi evidentemente riflessi importanti anche sull’offerta turistica: un bosco ben tenuto non è solo più bello da vedere, ma più facilmente godibile da parte di tutti. Una montagna aperta come un grande giardino è un incanto per gli occhi e un’opportunità per muoversi lungo sentieri e percorsi vari. Per gli animali da pascolo, la fauna selvatica, le persone: tutti possono trovare il proprio posto nella grande varietà del mondo di mezzo.
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