Bene, anche oggi facciamo domande alla nonna del nostro compagno che ci parlerà di come si viveva al tempo della guerra. Oggi le domande le fate voi bambini. Ecco la prima.

Ogni tanto durante la guerra vi lanciavano i viveri dagli aerei? «Sì. Dagli aerei americani. Ricordo un formaggio giallo, in scatola. Se noi prendevamo i viveri, i tedeschi ci uccidevano. Bisognava prenderli di notte, di nascosto».

Hai mai conosciuto una staffetta partigiana? «Sì, una specie. I tedeschi avevano ferito suo figlio partigiano, gli amici l’hanno riportato a casa sua. Era nascosto nel fienile, con la gamba mezza rotta. Lei faceva la pasta. poi si legava una corda in vita e gli portava su con la scala un pentolino. Una volta un tedesco le dice: Tu sei vecchia, ci vado io al tuo posto a buttar giù il fieno ai cavalli, nonna, non preoccuparti. Lei ha tremato. Lei aveva il tegamino in mezzo alle gambe da portarci su. Per fortuna poi c’è andata lei. Da lì poi il figlio suo l’hanno portato in un altro rifugio in un fosso. Poi a casa di mia mamma. Aveva 17 anni, quel ragazzo”.

Ha mai conosciuto dei fascisti? «Io avevo anche un cugino fascista. Ha fatto del male al paese. Guidava gli aerei. Certe volte andava da mia nonna, una donna semplice, ingenua. Chiedeva dei partigiani che noi ospitavamo. La nonna ha fatto la spia. Senza volere. Allora mamma ha mandato via i ragazzi da casa. Noi li chiamavamo così i partigiani: i ragazzi. Andate a mangiare per qualche giorno nei boschi, ha detto. Quella notte sono arrivati i tedeschi».

Quante volte sono venuti? «Sette volte. Sempre di notte. Ma una volta è stata proprio brutta: ci hanno messi tutti al muro. Hanno iniziato a dire che noi davamo da mangiare ai partigiani, li ospitavamo. In quel momento non c’erano in casa. Un tedesco con la maglia rossa ci girava attorno con il mitra puntato. Poi mio zio che era stato prigioniero in Germania e sapeva un po’ il tedesco gli ha raccontato un po’ di balle e ci hanno lasciano stare».

I tedeschi vi hanno mai sorpreso con dei partigiani in casa? «Sì. Noi non ce ne eravamo accorti e sono entrati in casa. Dicevano che avevamo dei partigiani in casa, nel fienile. Era vero. Mio zio ha detto che erano suoi fratelli. Il tedesco ha detto: “Allora chiamali!” E lo zio: “Ragazzi, scappate, i tedeschi”. In italiano. Per fortuna non capivano l’italiano. E’ andata bene».

Perché i partigiani andavano sempre nei boschi? Sempre in montagna? «Per nascondersi, per non farsi vedere. Lì era più difficile vederli e prenderli».

C’erano dei soldati tedeschi buoni? «Sì. Una volta c’era un soldato tedesco buono che mi ha insegnato a contare fino a dieci in tedesco. Mi aveva fatto vedere le foto delle sue due figlie in Germania. Voleva bene ai bambini, alle donne».

Dopo la Liberazione la scuola e la vita sono cambiate? «A noi sono stati i partigiani ad avvertirci che era finita. Noi ragazzi raccogliavamo in giro le cartucce delle mitragliatrici, era un gioco. Ma è cambiata poco. Cera ancora molta sofferenza, miseria, tanta crisi».

Allora la gente stava con i partigiani o i fascisti? «Qui da noi in Emilia tutta con i partigiani. Ma di nascosto. Senza dirlo. Per non essere uccisa». Hai mai avuto paura?

«Sempre. Una donna ha detto a mia mamma: Ma tu sei pazza a tenere i partigiani in casa. Hai il marito in guerra, hai due figlie, se vi scoprono, uccidono te e anche le tue due figlie. Ragazzi, voi cercate sempre di avere un mondo senza guerra perchè la guerra è una cosa brutta. Bruttissima».

Bene, l’incontro è finito. Ringraziamo la nonna del nostro compagno con un applauso.