In Siria si vota, a Ginevra si esclude
Negoziato Onu Ieri elezioni parlamentari in 12 province su 14, gli Usa dicono già di non voler riconoscerne il risultato. Riparte il dialogo a Ginevra, fuori i kurdi su veto del Consiglio di Sicurezza Onu
Negoziato Onu Ieri elezioni parlamentari in 12 province su 14, gli Usa dicono già di non voler riconoscerne il risultato. Riparte il dialogo a Ginevra, fuori i kurdi su veto del Consiglio di Sicurezza Onu
File ai seggi a Damasco, Homs, Qamishli. Fuori i muri delle città siriane sono tappezzati con i volti di 3.500 candidati al parlamento: donne con il velo, donne senza, giovani uomini in cravatta, e sullo sfondo di tanti volti la bandiera siriana. Ieri parte della Siria si è presentata ai 7mila seggi aperti in 12 delle 14 province del paese per scegliere i 250 nuovi parlamentari.
Nella Biblioteca Al-Assad della capitale ha infilato la scheda nell’urna anche il presidente Bashar al-Assad. Con una decisione giudicata dal fronte anti-Damasco controproducente il presidente a metà febbraio aveva annunciato la tornata elettorale, per legge prevista ogni 4 anni (le ultime si tennero nel 2012). Che ha finito per coincidere con l’apertura di un nuovo round di negoziati a Ginevra.
Assad vuole presentarsi in Svizzera con un risultato a lui favorevole. Un voto che giunge mentre infuria la guerra civile e la metà del popolo siriano è o rifugiato all’estero o sfollato all’interno. Ed infatti si è votato solo nei territori sotto il controllo del governo, dove attualmente vive l’80% dei siriani ancora nel paese: fuori le province di Raqqa e Idlib, ma anche città negli altri distretti non sono state raggiunte perché sotto Isis, al-Nusra o gruppi delle opposizioni. A Deir Ezzor le urne sono arrivate dall’alto, con gli elicotteri.
Che questo voto sia uno scudo contro le pressioni del fronte anti-Damasco è chiaro. Ieri al tavolo Onu, ancora appesantito dalle precondizioni reciproche mai scalfite nei precedenti incontri, si è presentato l’Hnc, Alto Comitato per i Negoziati, federazione dei gruppi anti-Assad imbastita dalla monarchia Saud a dicembre. Quella governativa arriverà domani, per portare con sé il risultato delle parlamentari su cui i due fronti sono già spaccati: Mosca parla di strumento per evitare un vacuum politico; Washington le giudica illegittime e annuncia che non ne riconoscerà l’esito qualsiasi sia la partecipazione popolare.
E se l’Hnc accusa il governo di propaganda e elezioni decise unilateralmente, da imputare alle opposizioni interne ed esterne c’è un dialogo che inclusivo non lo è affatto. Anche stavolta a Ginevra non ci saranno i kurdi siriani, il Pyd di Rojava. Escluso al primo round dal diktat della Turchia, stavolta è tagliato fuori dall’Occidente: la scorsa settimana la Russia ha presentato in Consiglio di Sicurezza Onu la richiesta di inclusione dei kurdi al tavolo svizzero, ma i paesi occidentali membri hanno posto il veto. Rojava resta fuori, nonostante il ruolo militare nella lotta all’Isis e la chiara visione democratica.
Dentro, ben radicati, stanno invece i salafiti di Ahrar al-Sham e Jaish al-Islam, alleati militari di al-Nusra. La ragione? Sono creature di Golfo e Turchia che le hanno fatte prosperare in chiave anti-Assad e oggi ne impongono la presenza all’interno di una federazione delle opposizioni troppo composita e frammentata per rappresentare un’alternativa credibile.
Difficile prevedere cosa uscirà dal nuovo round negoziale a causa delle distanze tra le due parti e le mosse militari sul terreno. Martedì il governo siriano ha annunciato il via all’operazione per la ripresa di Aleppo. Ad aprire la strada saranno i raid russi. Ma si muovono anche gli Stati uniti: il Wall Street Journal ha rivelato di meeting segreti prima del 27 febbraio (entrata in vigore dell’attuale cessate il fuoco) tra la Cia e le intelligence dei paesi arabi alleati. Sul tavolo hanno messo il “piano B”, nel caso di collasso della tregua: la Cia si è detta pronta a riarmare le opposizioni moderate, stavolta con strumentazioni migliori in grado di colpire artiglieria e aviazione governative.
Spara anche la Turchia che negli ultimi due giorni ha aperto il fuoco contro il nord della Siria in risposta a missili lanciati nel proprio territorio da gruppi islamisti. Alta tensione anche nel sud est turco dov’è in corso la campagna militare anti-kurda. Lunedì Ankara ha approvato un decreto del Ministero degli Interni che ordina l’espropriazione di proprietà private kurde nelle province di Diyarbakir, Hakkari, Mardin e Sinrak. Al loro posto saranno costruiti posti di polizia.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento