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In silenzio sul ponte

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Storie Tre cetologhe su una nave di linea monitorano lo stato di salute di delfini, balene e capodogli che senza possibilità di scelta convivono con i detriti riversati dall’uomo nel Mediterraneo

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 17 luglio 2014

Sono circa le cinque e trenta del mattino, quando silenziosamente ci si mette in moto. Il tempo di un caffè caldo mentre si fa il punto della situazione e si è pronte a perdere ancora una volta lo sguardo sulle onde del mare. Quadretto romantico ma molto reale che calza a pennello per descrivere l’inizio giornata di Antonella Arcangeli, Ilaria Campana ed Arianna Vetrunio. Tre donne che in ruoli diversi, chi già inserita nel mondo lavorativo, chi ancora laureanda, anche oggi saliranno sul ponte di comando di una nave adibita al trasporto passeggeri sulla linea Civitavecchia – Barcellona – Civitavecchia. Svolgono un lavoro talmente insolito da sembrare quasi letterario e esotico.

Sono cetologhe e lassù nel punto più alto di ogni imbarcazione, dopo aver scambiato i saluti con gli ufficiali di turno sul ponte, iniziano la propria attività. Monitorano lo stato di salute dei cetacei nel Mediterraneo per un progetto di ricerca legato all’ISPRA. Perché nel mare nostrum sono ben otto le specie presenti: i più noti delfini, animali misconosciuti come il grappo ed il globicefalo, il rarissimo zifio, il capodoglio e la balenottera comune, a cui spetta con una lunghezza di circa 22 metri il cinematografico primato di grandezza.

Questi animali senza possibilità di scelta convivono con rumori, sporcizie e tossicità che gli uomini riversano nel Mediterraneo. Qui entrano in scena le tre ricercatrici, come spiega la coordinatrice Antonella Arcangeli: «All’inizio degli anni novanta si sapeva davvero pochissimo su questi animali. Non si conoscevano né le specie presenti nel nostro mare né la distribuzione, e i dati a disposizione erano riferiti soltanto al periodo estivo perché in inverno non avvenivano le rilevazioni. Luca Marini, un pioniere del settore, iniziò il monitoraggio nel 1989 portandolo avanti fino al 1993 usando i traghetti passeggeri».

Intuizione felice dato che le navi di linea percorrendo un transetto, vale a dire una stessa singola rotta, sono sempre in mare a prescindere dalle condizioni climatiche, «e hanno una visibilità buonissima per il nostro lavoro, permettono l’utilizzo della strumentazione di bordo con costi estremamente ridotti rispetto ad una barca per la ricerca. Da quella esperienza siamo giunti al progetto attuale di cui mi occupo dal 2007».

Gesticola e parla con passione Antonella Arcangeli, alternando notizie di natura tecnica a stralci di vita personale. Racconta come non si sarebbe mai immaginata di finire a muoversi sopra e sotto le onde con il suo lavoro; da giovane pensava a una tesi sui lupi e per una serie di circostanze si ritrovò poi a studiare i cetacei. Osservare spazi infiniti è diventato così un’occupazione che ha una struttura ben definita da un metodo scientifico: «Quando inizia ad albeggiare ci posizioniamo sulle due ali laterali del ponte. Da lì parte il monitoraggio in turni fino al termine delle ore di luce di modo da mantenere costante la probabilità di avvistare gli animali. Scrutiamo il mare fino a quando intercettiamo i cetacei: in quel caso viene immediatamente chiamata a supporto la collega per determinare assieme la specie, il numero di animali intercettati, a quale distanza erano, cosa stavano facendo e quale direzione  aveva il loro nuoto. Per fare questo usiamo pochi ma efficaci strumenti come il binocolo, il misuring stick ed il goniometro per valutare distanza ed angolo dalla prua della nave, la macchina fotografica, il gps portatile per avere il punto preciso di avvistamento ed il percorso che la nave effettua mentre siamo in osservazione. I dati rilevati vengono registrati in apposite schede. Determinanti sono le condizioni metereologiche: più si è vicini a mare zero, cioè piatto, meglio si lavora.».

Ore ed ore trascorse in silenzio sul ponte di comando, interrompendo la quiete solo nell’attimo in cui le ricercatrici lanciano il grido d’avvistamento: spesso è questione di pochi secondi in cui si possono intercettare piccole stenelle o maestosi capodogli.
«Nel progetto in corso – sottolinea – c’è un’altissima percentuale di donne. Non so perché sia così, ma posso dirti che sono tutte ragazze motivatissime, anche quando salgono a bordo per completare il percorso di studi con le esperienze in mare». Oltre la professione e la trasmissione dei saperi alle giovani allieve, rimarca un’ulteriore aspetto del suo lavoro, forse ancora più importante: «Spero che quanto facciamo possa avere la possibilità di sensibilizzare la gente. È un modo per parlare dell’ambiente da cui proveniamo e che stiamo progressivamente dimenticando, ovattati dalla quotidianità. Dovremmo evitare questo crescente distacco tra il mondo dell’essere umano e quello naturale, riconoscendo quest’ultimo non solo come luogo di vacanza o di acquisizione di materie prime, ma come realtà contingente ed oggettiva per ognuno di noi».

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