Per Mario Draghi alla fine il bottino è pieno: la risoluzione di maggioranza partorita dopo 24 ore di durissimo travaglio non sposta di una virgola il mandato che il governo aveva ricevuto a marzo per gestire la crisi ucraina. E la maggioranza tiene: 219 voti a favore in Senato, un numero persino superiore a quello raggiunto nel voto di fiducia a marzo (sulla guerra( 214).

Non è un caso che nella replica il premier si mostri particolarmente soddisfatto: «Ringrazio il Senato per il sostegno ad aiutare l’Ucraina a difendere la libertà e la democrazia», a «continuare con le sanzioni» alla Russia, «a ricercare una pace duratura che rispetti i diritti e la libertà dell’Ucraina», a «continuare, insomma, sulla strada disegnata dal decreto 14 del 22». Riferimento velenoso, quest’ultimo, perché l’obiettivo del M5S era proprio rivedere quelle regole di ingaggio (che prevedono una relazione alle camere ogni tre mesi sulla situazione bellica) e ampliare il ruolo di indirizzo del Parlamento, in particolare nel caso di nuovi invii di armi.

NULLA DI TUTTO QUESTO è stato concesso dal tandem Draghi-Di Maio, con il ministro scissionista (sempre seduto al fianco del premier) , se possibile, ancora più rigido nel non voler concedere nulla a Conte. «Vi ringrazio perché l’unità è essenziale», ha detto il premier. E ancora, con una nota «personale»: «Quando un Paese è, seppur indirettamente, coinvolto in una guerra, le decisioni che si devono prendere sono molto complesse, profonde, hanno risvolti anche morali. Avere il sostegno del Senato nel prendere queste decisioni è molto, molto importante per me».

NONOSTANTE LA RIGIDITÀ del governo, che aveva ribadito a più riprese di non volersi fare «commissariare» dal Parlamento nella gestione della guerra, questo esito non era scontato. Se avesse prevalso la linea Casini- Renzi («Una volta questo dibattito parlamentare sarebbe terminato così: “Il Senato udita la comunicazione del presidente del consiglio dei ministri la approva”», ha ricordato l’ex presidente della Camera, irridendo «il teatrino incomprensibile» sulla risoluzione), M5S avrebbe potuto astenersi, come hanno fatto i senatori di Fdi. Il governo non sarebbe caduto, ma sarebbe uscito da palazzo Madama ammaccato, con circa una sessantina di voti in meno (il M5S ne ha una settantina a cui andrebbero tolti 10-11 dimaiani fedeli a Draghi). In sostanza la mozione sarebbe passata con circa 160 voti, una maggioranza risicata. E questi sono i numeri con cui il vincitore di ieri Draghi dovrà fare i conti se Conte in futuro dovesse rompere.

IL PREMIER NON HA USATO nessuna captatio benevolentiae verso i grillini nelle sue comunicazioni: «Il governo italiano insieme ai partner Ue e G7 intende continuare a sostenere l’Ucraina come questo Parlamento ci ha detto di fare». «Le sanzioni funzionano», ha aggiunto. «Il FMI prevede che il costo inflitto all’economia russa sarà pari a 8.5 punti del Pil. Il tempo sta rivelando che queste misure sono sempre più efficaci». «I nostri canali di dialogo restano aperti, non smetteremo di sostenere la diplomazia e cercare la pace, nei termini che sceglierà l’Ucraina». Un messaggio chiarissimo, quest’ultimo, che conferma il pieno sostegno a Zelensky: «Durante lamia recente visita a Kiev il presidente Zelensky ci ha chiesto di continuare a sostenere l’Ucraina per raggiungere una pace che rispetti i loro dirit». Resta dunque la dopia strategia: sanzioni e aiuti militari all’Ucrtaina «perché Mosca cessi le ostilità e accetti di sedersi al tavolo dei negoziato».

DRAGHI HA PARLATO ANCHE della «crisi umanitaria di dimensione straordinaria: sono a rischio le forniture di grano nei paesi più poveri» e nei porti ucraini sono bloccati «milioni di tonnellate del raccolto precedente». Per far uscire le navi dai porti «non vedo alternativa all’adozione di una risoluzione delle Nazioni Unite dove l’Onu garantisca l’operazione sotto la sua egida». Draghi ha ribadito anche «l’urgenza di un tetto al prezzo del gas» e ha annunciato: «Dal 2023 potremo ridurre la dipendenza dal gas russo».

NELLE DICHIARAZIONI DI voto Pd e Forza Italia si sono distinti per l’altissimo tasso di draghismo: «La sua foto con Macron e Scholz sul treno per Kiev sarà nei libri di storia, siamo orgogliosi del lavoro del governo, l’unità della maggioranza è fondamentale, la Russia punta sulle nostre divisioni», ha detto la capogruppo dem Simona Malpezzi. «Senza la difesa dell’Ucraina, la pace non si raggiungerà mai», le ha fatto eco la forzista Anna Maria Bernini. Mariolina Castellone, del M5S, ha invece denunciato «l’inconcepibile braccio di ferro col governo» per ribadire nella risoluzione il ruolo del Parlamento. «Nessuno voleva commissariare l’esecutivo, ma solo rispettare la Costituzione». E ha aggiunto: «L’Ue non ha espresso pienamente il suo ruolo diplomatico per un cessate il fuoco». Infine, rivolta all’ormai ex compagno di partito Di Maio: «Non abbiamo mai messo in discussione l’adesione alla Nato, basta con queste falsità». Dalla Lega un avvertimento al premier: «Non sosterremo una maggioranza litigiosa che fa perdere tempo, tenga a bada chi non lo ha capito».