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In ricordo di Adele Cambria, l’artista delle «dimissioni»

Non sta dentro nessuna definizione, Adele Cambria, lei così minuta, dai lineamenti definiti e preziosi come una porcellana. Eppure incontenibile, per la molteplicità delle cose fatte, delle esplorazioni compiute, delle […]

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 7 novembre 2015

Non sta dentro nessuna definizione, Adele Cambria, lei così minuta, dai lineamenti definiti e preziosi come una porcellana. Eppure incontenibile, per la molteplicità delle cose fatte, delle esplorazioni compiute, delle curiosità senza fine. E del coraggio delle proprie idee, intransigenti, che l’hanno portata a praticare l’arte delle dimissioni. Ecco allora Adele Cambria pioniera delle giornaliste italiane, che parte dalla sua Reggio Calabria con l’assoluta determinazione di scrivere. E dal Giorno di Gaetano Baldacci, fino all’ultima collaborazione, con l’Unità, in un susseguirsi di dimissioni, come dice il titolo di uno dei suoi libri più recenti «Nove dimissioni e mezzo». (Donzelli). Una pratica severa, la dimissione, che non facilita le carriere e spiega come il suo grande talento non l’abbia portata, come le sarebbe dovuto, nell’empireo riconosciuto delle grandi giornaliste.

Bisognava ascoltarla, quando raccontava con grande ironia come, all’inizio, essendo lei una giovane donna, fu destinata alla cronaca mondana. Al cui servizio mise la sua scrittura. Secca, tagliente, capace di mille sfumature. Un esercizio di stile che applicava a tutti i media in cui ha lavorato, la tv e la radio, dove ho lavorato con lei a Radiotre. Perfino il blog, il suo ultimo luogo di scrittura, era trattato da lei con lo stesso rigore. Fu dunque naturale, per lei, diventare femminista.

Tra la fine degli anni Sessanta e Settanta Adele, che era nata il 1931, scelse di stare con quello che emergeva di nuovo, con i giovani. E soprattutto le donne. Partecipando ad assemblee, collettivi, riunioni, coinvolta in pieno dal nuovo fervore che sconvolgeva la società italiana, mettendosi al centro di progetti nuovi, come Effe, o firmando quotidiani come Lotta Continua, per generosità politica, essendo il suo orientamento radicale e socialista. E ha collaborato a lungo con NoiDonne, anche se non è tra le sue co-fondatrici, come è stato erroneamente riportato. E generosa Adele è stata con tanti e tante. Donna capace di grandi furori, era in realtà un’amica dolcissima, attenta. Lo fu certamente con Goliarda Sapienza, a cui era molto legata e che protesse in molti modi.

È nel femminismo che Adele trova lo spazio e l’occasione a scrivere testi di varia natura. A cominciare dal teatro, con Nonostante Gramsci rappresentato per la prima volta nel 1975 al Teatro La Maddalena, di cui era una delle fondatrici. Fino al primo romanzo Nudo di donna con rovine, del 1984, in cui inaugura quel genere di racconto che l’ha caratterizzata, una specie di memoir spersonalizzato eppure riconoscibilissimo, al ritmo di una scrittura impeccabile. Perché Adele praticava l’arte del racconto. Per chi ha avuto la fortuna di ascoltarla, era evidente che le sue storie, le sue descrizioni, apparentemente improvvisate, erano frutto di una complessa elaborazione, di un sapiente dosaggio di pause, simbolizzazioni, descrizioni senza appello. Mi è rimasta impressa, per esempio, una sua definizione, che a mia volta ho spesso usato.

Eravamo in una riunione di redazione di NoiDonne, all’epoca era direttora Franca Fossati, si trattava di dedicare un dossier agli uomini che cambiano, che acquistano tratti femminili. E Adele fa: «Ci sono voluti secoli se non millenni di lavoro alle donne, per diventare un perfetto oggetto sessuale. Ne dovranno fare di strada gli uomini, per acquisire lo status di uomo-oggetto». Icastica, con una forza di rappresentazione unica. Mai pentita di avere buttato all’aria una vita più tradizionale, ne ha raccontato i prezzi pagati senza fare sconti a nessuno, con meravigliata consapevolezza.

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