Il dubbio si è sciolto: probabilmente era già tutto deciso, ma adesso abbiamo la conferma ufficiale. Il presidente sudafricano ha annunciato ieri mattina che ad entrare nel “club” dei Brics saranno Argentina, Egitto, Iran, Etiopia, Arabia saudita ed Emirati arabi.

SI AMPLIANO, quindi, e si modificano le relazioni geopolitiche di potere mentre continua l’enfasi dei leader sul «sud globale». Come afferma lo stesso Cyril Ramaphosa: «Molti paesi del Global South stanno facendo progressi importanti nell’industrializzazione, lo sviluppo tecnologico, l’innovazione e l’economia digitale, ma non stanno raccogliendo pienamente i benefici economici».

Salta agli occhi come l’idea di sud, di popoli subalterni, oppressi da un modello di sviluppo disumano, non solo non ha nulla a che vedere con le scelte di nuovi membri, ma neanche con la politica di alcuni paesi fondatori dei Brics.

L’ambiguità sul concetto di «sud globale» è una delle ragioni della protesta di università e movimenti di base organizzati in studi, ricerche e attività politiche. Manifestanti, non solo da Johannesburg, ma anche da Marikana a ricordare la strage del 2012 in cui 34 minatori furono assassinati da una violenta repressione. E poi da Nigeria, Ucraina, Pakistan, Bangladesh, si sono aggregati a Innes Park, nella zona del summit.

Uno degli attivisti, Zaki Mamdoo del movimento Stop Eacop (Est African Crude Oil Pipeline), considera il summit un disastro perché dietro al concetto di sviluppo sostenibile nasconde l’evidenza dello sfruttamento e fa l’esempio di un nuovo colonialismo in Africa: «Lo Stato cinese con le sue compagnie private è impegnato a costruire la più grande opera di oleodotto che attraversa, dal nord dell’Uganda alle coste della Tanzania, centinaia di comunità. Decine di migliaia di famiglie stanno perdendo le loro terre, vite e tradizioni, ricevendo compensi irrisori. Molte comunità e attivisti sono stati repressi con violenze e minacce: una continua violazione di diritti umani».

Continua: «Il Chinese National Oil Corporation, tra l’altro, è padrone del Kingfisher Oil Field che estrae petrolio dal Lago Alberto, minacciando una delle più grandi risorse di acqua». Nessuno dei leader è venuto incontro o ha dato spazio ai manifestanti, tenuti lontani dal summit dalla classica zona rossa disegnata per dividere politica e movimenti.

SE IL CONCETTO di «sviluppo sostenibile» tanto decantato dai Brics si confonde drammaticamente con l’esplorazione e lo sfruttamento, lo stesso può dirsi della parola «anticoloniale» che pronunciata dai Brics mortifica gli studi letterari e culturali di pensatori politici come Albert Memmi, Edward Said, Gayatri Spivak, letteralmente trasformati in carta straccia dalla voce dell’imperialista di eccezione: il presidente russo Putin più di una volta ha difeso l’invasione dell’Ucraina con suggestive e arbitrarie categorie contro-egemoniche, mascherando il violento colonialismo di cui è protagonista e che miete vittime e dolore.

Per quanto riguarda i nuovi membri, se ancora è attesa la divulgazione ufficiale dei criteri per la scelta dei paesi partner, certamente ci saranno princìpi non detti: ad esempio, su 140 paesi che hanno votato per condannare l’invasione russa, India, Israele, Arabia saudita, Etiopia si sono astenuti, hanno rifiutato le sanzioni o hanno compiuto azioni per proteggere la Russia (se l’India già era nei Brics, Etiopia e Arabia saudita adesso sono neopromosse).

Per quanto riguarda l’Argentina, sorge il dubbio che possa essere funzionale a un meccanismo di prestiti della New Development Bank.

I CONCETTI di sud globale, sviluppo sostenibile, anticolonialismo divengono del tutto irrisori nel vocabolario Brics. Secondo Patrick Bond, direttore del Centro per la trasformazione sociale all’Università di Johannesburg, «i Brics saranno ora affiancati da regimi tirannici e ad alta intensità di carbonio, pessima notizia per chiunque si aspetti che il multipolarismo contrasti l’unipolarità Usa/Ue. E nella principale battaglia economica, quella sulla de-dollarizzazione, le fazioni più conservatrici dei Brics, provenienti dai ministeri delle finanze e dalle banche centrali, oltre al Business Council dei Brics, hanno costretto il blocco a una tragica ritirata».

L’attivista e studioso sudafricano, Trevor Ngwane, considera quello dei Brics un disegno strategico per contenere le voci divergenti: «Alcune di queste macchinazioni sono progetti egemonici per fermare il dissenso interno e in realtà invocare un’unità che non avvantaggia le masse: proiettano una falsa speranza sulle masse pur proponendosi come alternativa all’imperialismo statunitense e occidentale».

CALA IL SIPARIO su Johannesburg, le attese per un altro mondo possibile restano al buio. E mentre un’alleanza, vestita da sud globale, accelera sull’agenda neoliberale, solo movimenti dal basso potrebbero riaccendere piccole luci.