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In Libia il business della disperazione

In Libia il business della disperazione«Trafficante» libico con la sua «merce» – Reuters

L'altra sponda Lo scontro tra i «governi» di Tripoli e Tobruk. Migranti tra due fuochi. Dagli scheletri nel deserto del Fezzan alle prigioni per migranti: la dura legge delle milizie

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 12 febbraio 2015

I quattro gommoni che hanno provocato una delle più gravi stragi di migranti degli ultimi anni nel Mediterraneo partivano dalle coste libiche. «Non volevamo partire per il maltempo, ma i contrabbandieri ci hanno costretto minacciandoci con le armi in loro possesso», ha raccontato uno dei sopravvissuti. «Abbiamo trascorso gli ultimi giorni prima della traversata in un magazzino di Tripoli e lo scorso sabato ci hanno ammassati sulla spiaggia da dove ci siamo imbarcati», ha proseguito il giovane che ha confermato che alcuni di loro avrebbero pagato fino a 600 euro per la traversata. Nella totale assenza dello Stato, per le centinaia di milizie che si contendono le redini del paese la gestione dei flussi migratori è diventato un business irrinunciabile. Le bande armate controllano centinaia di prigioni, in cui sono stipati migranti in condizioni di miseria e abbandono. Molti dei miliziani sono accusati da organizzazioni locali per la difesa dei diritti umani di tortura e maltrattamenti.

Queste dinamiche non sono nuove. Le insensate politiche anti-migratorie libiche hanno previsto per anni respingimenti sistematici nel deserto del Sahara. Nel 2008 fu il governo Berlusconi a firmare una serie di trattati riguardanti non solo l’approvvigionamento di gas, ma anche il contenimento dell’immigrazione. Gheddafi instaurò un sistema di pattugliamento costiero per contenere il traffico clandestino di disperati in fuga dai paesi sub-sahariani. I trattati contenevano però un errore allarmante: la Libia non aveva aderito alla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951. Come documentato da numerose associazioni umanitarie, i migranti venivano detenuti in condizioni disumane, e spesso rispediti a casa attraverso il deserto del Fezzan. I report di Amnesty International hanno documentato questi piccoli grandi esodi correlati da testimonianze di stupri e uccisioni perpetrati dall’esercito libico. Viaggi senz’acqua e cibo che hanno riempito il deserto di scheletri.

E così anche la Libia post-Gheddafi continua a essere un incubo per i migranti. Il governo islamista di Tripoli (per molti un organo costituito da islamisti che non ritiene legittimo il risultato delle elezioni del 25 giugno 2014) ha stracciato l’accordo con il governo del Sudan che prevedeva una forza congiunta per la sicurezza delle frontiere tra i due paesi africani. L’ex ministro della Difesa libico, il colonnello Abdul Razzaq al-Shihabi, per controllare la frontiera con il Sudan, aveva puntato sulla cooperazione con il governo italiano con l’intento di organizzare una copertura satellitare dell’area.

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Le coste libiche sono la strada più semplice per l’Europa per scafisti e contrabbandieri. A causa delle violenze e del caos, alimentati da potenze straniere che finanziano diverse fazioni nello scacchiere libico, il numero di migranti che ha tentato di lasciare il paese è andato crescendo. Tuttavia Amnesty ha puntato il dito anche contro le operazioni di Ricerca e soccorso in mare (Sar) e sul progressivo fallimento degli stati coinvolti, specialmente Italia e Malta, che non sono riusciti a raggiungere un accordo in merito all’estensione delle rispettive zone Sar.
Da una parte lo scontro dei due governi di Tripoli e Tobruk, dall’altra la guerra che coinvolge i gruppi jihadisti per il controllo dei pozzi di petrolio (ieri sono state rinvenute a Bengasi 40 teste mozzate in aree controllate dai jihadisti) hanno azzerato qualsiasi controllo sui flussi migratori. È stata interrotta a causa degli scontri, la collaborazione libica con le operazioni Mare Nostrum e Triton per il contenimento dell’immigrazione clandestina, sottoscritta nel 2013 dall’allora ministro Mauro con al-Thinni, in quella fase ministro della Difesa libico. Oggi i migranti non sono più soltanto sub-sahariani, ma anche libici, e data la gravità delle lotte intestine, Amnesty ha recentemente chiesto che nessun paese li respinga.

Infine, anche il controllo del greggio oscilla seguendo le complesse relazioni tra il governo cirenaico e quello tripolino. Formalmente la banca Centrale libica si è mantenuta neutrale decidendo di non incanalare i ricavi ufficiali del petrolio nelle casse di nessuna delle due amministrazioni. Di fatto però, Al Thinni, premier espressione del parlamento di Tobruk (formalmente sciolto dalla Corte suprema libica, ma di fatto operativo) è riuscito a inserire suoi collaboratori nella Società petrolifera nazionale. Di contro, il governo tripolino è riuscito a prendere il controllo di Al Sharara: il giacimento più grande del paese.

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