Il parlamento libico di Tobruk è iperattivo. «In Libia c’è pura anarchia. Non si decide certo in parlamento se è l’esercito o l’opposizione ad avere la meglio. E così la demilitarizzazione del Paese appare quanto mai lontana. Ma ormai la comunità internazionale sembra preferire Stati falliti (è quello che avviene in Somalia, Siria e Iraq) piuttosto che accettare cambiamenti di confini nei Paesi in crisi», ci ha spiegato James Gelvin, docente dell’Università della California.

E così, il capo di stato maggiore libico Abdulati al-Obeidi ha ammesso «di non avere il controllo dei militari e che l’esercito è sull’orlo del collasso». Mercoledì era stato assassinato il capo della Direzione della sicurezza nazionale a Tripoli, colonnello Mohamed al-Suwisi. È stato freddato da uomini armati nella periferia della capitale. Al-Suwisi era scampato in precedenza a un attentato dopo aver dichiarato il suo sostegno all’«Operazione Dignità», contro le milizie islamiste attive in Libia, lanciata lo scorso maggio dall’ex generale e agente della Cia, Khalifa Haftar.

Per correre ai ripari, il parlamento di Tobruk ha approvato alcuni provvedimenti urgentissimi. Il più importante è lo «scioglimento di tutti i gruppi armati e le milizie irregolari operanti nel Paese». È evidente che si tratta di un atto simbolico, privo di alcuna possibilità di successo, perché nell’estrema frammentazione è impossibile intervenire con una decisione legislativa per fermare l’azione delle milizie.
Questo potrebbe però comportare un rafforzamento del sostegno di parte delle forze armate ai miliziani di Zintan, vicini ad Haftar, per raggruppare, isolare e decapitare le milizie jihadiste. Il parlamento libico ha poi riconosciuto l’estrema fragilità del Paese e per questo ha chiesto l’aiuto delle Nazioni unite per riuscire a proteggere i civili.

L’escalation di violenze in Libia sarà al centro dei colloqui del Consiglio straordinario per gli Affari esteri dell’Unione europea che si riunirà oggi a Bruxelles.

La Camera si è insediata appena dieci giorni dopo le contestate elezioni del 25 giugno scorso. Il voto, a cui ha partecipato solo una piccola parte degli aventi diritto, ha consegnato il parlamento libico alle forze laiche, vicine all’ex generale Haftar, ideatore del golpe che ha estromesso gli islamisti dalla gestione politica.

Tuttavia, la Camera sembra non avere alcun controllo su un Paese completamente dilaniato. Tant’è che ha dovuto riunirsi nella cittadina dell’est e non ha potuto far ingresso nel Congresso generale nazionale, con sede a Tripoli. Non solo: il parlamento uscente non ha riconosciuto l’insediamento della Camera per vizi procedurali.

Dopo gli attacchi della Nato del 2011, non si placano gli scontri tra le 1.700 milizie che, grazie al controllo dei terminal petroliferi e ingenti quantità di armi, hanno reso la Libia fuori controllo.

La tregua tra miliziani di Zintan e jihadisti, Scudo di Misurata, nella battaglia per il controllo dell’aeroporto di Tripoli non ha retto che poche ore. Nonostante lo scalo sia andato completamente distrutto (limitando gravemente i voli verso la Libia e rallentando le operazioni di evacuazione), le violenze sono andate avanti nella giornata di ieri.

Almeno quattro civili sono rimasti uccisi a Tripoli a causa dei nuovi scontri. Secondo testimoni, citati dalla stampa locale, le vittime sarebbero state causate dal lancio di missili Grad.

Dopo la chiusura delle principali ambasciate europee, degli Stati uniti, di Turchia e Arabia saudita, a causa dell’aggravarsi delle violenze, la situazione dei rifugiati è andata lentamente aggravandosi. Anche centinaia di italiani, molti impegnati in progetti di cooperazione – approvati inavvertitamente, per la grave instabilità politica, lo scorso anno dalla Farnesina – hanno lasciato la Libia.
Migliaia di egiziani sono rimasti bloccati invece al confine tunisino. Quasi 70 mila hanno fatto rientro in Egitto attraverso il confine di Sallum, dopo essere rimasti per giorni bloccati. Questo conferma l’impressionante numero di cittadini egiziani, molti impegnati direttamente nei combattimenti tra le diverse milizie, ancora presenti a Tripoli e Bengasi.