In Italia si muore ma si fa presto a dire «ciclabile»
Eventi In occasione della Settimana europea della mobilità, dal 16 al 22 settembre, una riflessione sulle politiche che ostacolano l’uso della bicicletta in sicurezza
Eventi In occasione della Settimana europea della mobilità, dal 16 al 22 settembre, una riflessione sulle politiche che ostacolano l’uso della bicicletta in sicurezza
Come ogni anno, dal 2002 a questa parte, torna la Settimana Europea della Mobilità (SEM): dal 16 al 22 settembre si concentrano una serie di azioni e iniziative volte a promuovere la mobilità sostenibile. In prima fila la bicicletta: promossa in Italia dalla FIAB, l’obiettivo principale sarà quello di sensibilizzare la popolazione sui vantaggi offerti dalla scelta del velocipede per andare a scuola, al lavoro, viaggiare, tenersi in forma, divertirsi, e contemporaneamente dare una mano alla transizione ecologica. Cambia stile, vai in bici è lo slogan che accompagnerà quest’anno centinaia di eventi, che vanno dal livello locale a quelli di respiro internazionale. Le iniziative principali sono la Car free week, l’invito a lasciare a casa l’auto per una settimana a favore dell’utilizzo dei mezzi pubblici, della bici o dei propri piedi. Il 16 e 17 settembre saranno i Parking Day, giorni in cui i parcheggi verranno temporaneamente trasformati in spazi di socialità, con iniziative ricreative e culturali che si focalizzeranno in particolare sul tema delle «Città 30». Con il Bike to work day convocato nel giorno conclusivo della campagna, il 22 settembre, si invitano le persone a provare l’ebrezza di raggiungere il proprio posto di lavoro in bicicletta.
C’È TUTTO E TANTO DA GUADAGNARE nell’andare in bicicletta, ma a patto che sussistano le condizioni per farlo e per farlo in sicurezza. Il ritmo drammatico di incidenti ai danni di ciclisti nel nostro paese alza il livello di inquietudine e di frustrazione per il mare anche di morti che si interpone fra il dire e il fare delle istituzioni che nel corso di questa settimana vetrina saranno in prima linea a promuovere tutto quanto viene da loro messo in campo per promuovere la mobilità sostenibile. Intanto, sulle strade di muore. La centralità guadagnata nel corso della settimana dedicata, si smarrisce il resto dell’anno con promesse non mantenute, ritardi, cambi di marcia, inazione; a farla emergere di nuovo, al limite, è «l’incidente» – l’uccisione – di turno. Le buone intenzioni delle amministrazioni sbandierate in occasione di questa tipologia di eventi finiscono spesso come molte piste ciclabili: nel nulla. Questo principalmente per la mancanza di investimenti a lungo termine e di una pianificazione integrata: la singola pista ciclabile serve a poco se si vuole veramente « cambiare stile» nel momento in cui è isolata e non è inserita in un piano di mobilità sostenibile.
L’ATTUALE GOVERNO NON SEMBRA MOLTO CONVINTO dell’importanza di un piano strategico a lungo termine nel momento in cui prima cancella dalla legge di bilancio i 94 milioni destinati al cofinanziamento di percorsi per ciclisti da destinare ai comuni ,e successivamente nel progetto di revisione del Pnrr decide di eliminare i 400 milioni destinati alla realizzazione delle ciclovie turistiche: nella mappa del 2026 spariscono quindi 1200 km di piste ciclabili che avrebbero potenziato itinerari già presenti e realizzarne di nuovi. E dire che fra gli itinerari più cliccati fra i frequentatori del sito EuroVelo, il progetto di rete ciclabile europea, ci sono quelli taliani. Restano i 200 milioni del Pnrr previsti per le ciclovie urbane: meno male visto che rispetto al resto d’Europa (dati Istat) le nostre città hanno una media di 2,8 km di ciclabili per 10.000 abitanti: sono un miraggio le virtuosità europee come Helsinki, che ne vanta 20, Amsterdam, 15, Copenaghen, 9.
OLTRETUTTO IN ITALIA SI FA PRESTO A DIRE CICLABILE: la promozione della ciclabilità è ostacolata anche da una certa confusione anche normativa a seguito della mancanza di una cabina di regia che prenda in carico la questione ciclabilità in modo da superare quella visione della bicicletta a metà fra l’attrezzo sportivo e lo strumento di svago leggero, per non parlare del retaggio tutto italiano che vede nella bicicletta uno strumento per poveri, sfigati e, oggi, extracomunitari.
NEGLI ULTIMI ANNI SONO STATE INTRODOTTE NORME che riguardano la bicicletta in modo improvvisato utilizzando anche una specie di decretazione d’urgenza, ad esempio con l’emanazione del decreto legge 76/2020 (cosiddetto Decreto Semplificazione), che ha introdotto diverse modifiche la Codice della Strada (CdS) come ad esempio la Strada Urbana Ciclabile E bis e la Corsia Ciclabile. Tali modifiche per quanto a prima vista meritorie, sono solo parziali anche perché introdotte fuori da un organico contesto di revisione del Codice della Strada, che è la norma regina in quanto a ciclabilità, guadagnandosi anche per questo motivo il rimbrotto del Presidente Mattarella che ha segnalato l’incongruità di tale decretazione.
LA BICICLETTA, CHE RIMANE COMUNQUE UN MEZZO vulnerabile, deve migliorare la propria posizione come mezzo di trasporto nell’articolato del CdS attraverso il completamento di questa citata decretazione di urgenza con un adeguato corredo normativo soprattutto nella segnaletica di obbligo/pericolo della segnaletica orizzontale e nella più efficace implementazione del limite 30 km/h, che è lo strumento più forte per consentire una convivenza decente fra auto e bici, al netto del fatto che nel nostro paese i limiti di velocità siano più un’opzione che un obbligo. Oltre a questo, con le «Città» 30 siamo ancora all’anno zero e si fa presto ad elencarle: Olbia e Bologna allo stato attuale, forse fra un anno Parma e Milano, dove però il sindaco Sala frena; dati i 14 tra pedoni e ciclisti uccisi dalla violenza automobilistica da inizio anno, il sindaco forse dovrebbe farsi una chiaccherata con il responsabile del modello «Città 30» a Bologna, dove in pochi mesi di applicazione ci sono stati 1500 feriti in meno.
MOLTI CICLISTI PENSANO CHE LA STRADA appartenga in totale diritto anche a loro e sono stati scritti anche dei libri sulla ghettizzazione/sottomissione rappresentata dalla pista ciclabile. Questo sembra molto forte e ad una analisi più equilibrata sembra evidente che per certi corridoi la pista ciclabile sia imprescindibile, mentre per altri la condivisione appare più adatta, se non altro per motivi di costi e anche per un diritto inalienabile all’utilizzo della strada. Partageons la route dicono i francesi, share the road dicono gli inglesi: ce la faremo mai anche noi italiani a condividere la strada?
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