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In Italia non cerchiamo le varianti, anche Draghi se ne accorge

In Italia non cerchiamo le varianti, anche Draghi se ne accorgeLa sede dell’Ema ad Amsterdam, in basso Mario Draghi – LaPresse

Sequenziamento Si poteva ricorrere alle risorse europee, ma nessuno ne ha fatto richiesta. Secondo dati approssimativi, la delta da noi rappresenta il 16% dei casi. Il premier propone anche una riforma dell’Ema ispirata alla statunitense Fda

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 26 giugno 2021

La pandemia non è finita. È il messaggio con cui Mario Draghi saluta la riunione del Consiglio europeo chiusasi ieri a Bruxelles. «In Inghilterra vediamo come la diffusione della variante Delta stia creando incertezza nella ripresa economica» ha detto Draghi in conferenza stampa. «In autunno quando ricominciano le scuole, quando i trasporti tornano a essere pieni, non vogliamo trovarci nella situazione dello scorso anno».

IL RISCHIO C’È, ma stavolta non può essere calcolato: sulle varianti che circolano in Italia sappiamo troppo poco in quanto, banalmente, non le cerchiamo. Con un certo ritardo, se n’è accorto anche il presidente del consiglio. Ai giornalisti Draghi ha confessato il suo stupore: «Nella discussione che c’è stata, è venuto fuori che molti Paesi sequenziano molto, molto più di noi». Meglio tardi che mai.

Il “sequenziamento”, cioè l’identificazione dei ceppi virali, da noi viene effettuato solo per l’1,3% dei tamponi positivi, anche se nelle ultime settimane il dato è arrivato al 2,5%. In Germania però si sequenzia 4 volte di più. Negli ultimi sei mesi, in Italia sono stati sequenziati circa 31 mila tamponi, circa 1200 a settimana.

Nel Regno Unito, il paese-modello a livello mondiale, si viaggia a un ritmo dieci volte superiore.

La conseguenza è che il nostro sistema di sorveglianza è costantemente in ritardo. Secondo i dati ufficiali, risalenti a oltre un mese fa, la variante “delta” in Italia rappresenta meno dell’1% dei casi. È quasi certamente una sottostima. Istituto superiore di sanità (Iss) e ministero della Salute ne sono perfettamente al corrente. Ma con dati così poco accurati è difficile predisporre le attività di sorveglianza che prevengano la diffusione di nuovi focolai.

L’ITALIA AVEVA ANNUNCIATO di voler ridurre il gap, varando già in gennaio una rete di laboratori addetti al sequenziamento. Inizialmente bloccato per mancanza di finanziamenti, il progetto è stato da poco rilanciato ma non è ancora operativo. Viste le difficoltà, l’Italia avrebbe potuto rivolgersi alla neonata Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera), che su richiesta fornisce agli stati risorse sufficienti a sequenziare sei mila genomi su base settimanale, con un budget di 27 milioni di euro. Il manifesto ha provato a chiedere al ministero perché non se ne sia fatto uso, senza ottenere risposta.

OLTRE A UNA RIDOTTA CAPACITÀ di sequenziamento scontiamo anche una carenza metodologica. L’unica indagine statisticamente affidabile, infatti, viene compiuta una volta al mese dall’Iss a partire da poche centinaia di tamponi. Per il resto, il monitoraggio è affidato ai singoli laboratori regionali, senza particolari criteri statistici e con grandi disparità territoriali. Nonostante i margini di incertezza, sulla diffusione delle varianti questi dati qualcosa lo fanno capire. Ieri l’Iss ha pubblicato un’analisi delle sequenze raccolte in giugno, secondo cui la variante “delta” rappresenta circa il 16% dei ceppi circolanti, in netta crescita rispetto al 4% di maggio e rinvenuta in undici regioni. Si tratta però di un dato largamente atteso. Meno scontata è la presenza quasi altrettanto abbondante della variante “gamma” P.1, scoperta per la prima volta in Brasile. I dati saranno confermati e precisati a giorni, quando arriveranno i dati dell’indagine mensile dell’Iss del mese di giugno.

IN CONFERENZA STAMPA, Draghi ha rivelato di aver posto sul tavolo del Consiglio il tema del ruolo dell’Agenzia Europea del Farmaco (Ema). «La conclusione è stata che occorre un rinforzo e, forse, anche una riforma dell’Ema». «L’ultimo anno ha visto una certa difformità di pronunciamenti tra l’Ema e le autorità nazionali, esitazioni, anche dovute al fatto che era una situazione in cui tutti apprendevamo in corso d’opera» ha proseguito Draghi. «D’altra parte credo che l’Ema debba essere rafforzata, per esercitare i poteri che le spettano e che sono simili a quelli che esercitano le agenzie di altri Paesi». Draghi guarda alla statunitense Food and Drug Administration, che fissa le norme per tutti gli Stati uniti. Gli stati membri dell’Ue, al contrario, possono adottare criteri diversi in ambito regolatorio in autonomia dall’Ema. Questa pluralità di messaggi però spesso confonde l’opinione pubblica, come dimostra la vicenda del vaccino AstraZeneca.

La direttrice dell’Ema Emer Cooke ha confermato a SkyTg24 che si sta lavorando a diverse proposte di riforma «perché l’Ema possa avere un ruolo formale» ed «essere più proattiva» in caso di una crisi sanitaria, come appunto la pandemia.

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