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In Iraq sventolano le bandiere nere

In Iraq sventolano le bandiere nereMiliziani dell'IsIL a Fallujah – Reuters

La guerra è infinita A Fallujah e Ramadi infuria la battaglia. I jihadisti proclamano un «stato indipendente», schiaffo al premier Maliki. 86 i morti nelle ultime 24 ore, 20 sono civili. E l’esercito bombarda dall’alto

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 5 gennaio 2014

Dopo una settimana di scontri nella regione irachena di Anbar, ieri lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo jihadista vicino ad al Qaeda, ha innalzato le proprie bandiere sui tetti della città di Fallujah. L’IsIL ha dichiarato la città «nuovo stato indipendente», uno schiaffo in faccia al premier Nouri al Maliki. «Dichiariamo Fallujah Stato Islamico e chiamiamo tutti a farne parte!», hanno gridato alcuni miliziani dagli speaker delle moschee durante la preghiera del venerdì.

L’intelligence statunitense e il governo di Baghdad non nascondono la loro preoccupazione: «Estremamente grave» viene definita la situazione nell’area, da lunedì terreno di scontro tra jihadisti da una parte ed esercito regolare e tribù dall’altra.

I militanti dell’IsIL hanno assunto il controllo delle strade, presidiate da veicoli e uomini armati, e occupato stazioni di polizia a Fallujah e Ramadi, raccogliendo le armi abbandonate dalle forze di sicurezza e liberando decine di prigionieri. Distrutto il quartier generale della polizia a Fallujah, insieme all’ufficio del sindaco. Il controllo qaedista sulle due città si allarga di ora in ora, ennesimo segno dell’incapacità del governo sciita del premier Maliki di esercitare una reale autorità nelle regioni a maggioranza sunnita. In queste ore né polizia né esercito regolare presidiano la regione dell’Anbar, impossibilitate a entrare dalla massiccia presenza di miliziani armati.

Per questo l’esercito ha deciso di intervenire dall’alto con dei raid aerei: ieri bombe sono piovute sulla zona settentrionale di Fallujah, azione criticata dalle tribù e dal vicesindaco, Faleh Al-Eisawi: «Chiediamo all’esercito di interrompere i bombardamenti indiscriminati di aree popolate da civili». Giovedì notte forze di sicurezza e leader tribali sembravano aver riassunto il controllo di parte della città di Fallujah: «Siamo riusciti oggi, insieme alle tribù, a riprendere il controllo della strada principale, dopo una lunga battaglia», ha detto il capo della polizia, Mohammed Al-Isawi.

La situazione per le strade di Fallujah e Ramadi non appare però così rosea: 86 i morti nelle ultime 24 ore, almeno 20 civili. Sono centinaia le persone in fuga dalla regione, terrorizzate dall’elevata probabilità di una “battaglia finale” e terribile tra truppe governative e IsIL. Il silenzio e la desolazione delle strade di Fallujah e Ramadi sono interrotti solo dal rumore delle auto cariche di valigie ed effetti personali di chi fugge dalle proprie case. I rifiuti agli angoli delle piazze si accumulano, manca del tutto la corrente elettrica, mentre nelle abitazioni inizia a scarseggiare il carburante per i generatori e i negozi abbassano le saracinesche.

Ma a preoccupare di più Washington e Baghdad è la vittoria morale per ora riportata dai qaedisti: il governo Maliki si è mostrato totalmente incapace di mantenere il controllo e la stabilità di Anbar, regione calda sin dai tempi del regime di Saddam Hussein, ma ora quasi del tutto slegata dal potere centrale. Lunedì gli scontri sono esplosi dopo l’arresto di un parlamentare sunnita e i raid contro gli accampamenti di protesta anti-governativa. Immediate le dimissioni di 44 parlamentari sunniti, a cui il premier ha risposto con il ritiro dell’esercito e della polizia dalla regione di Anbar.

Che l’IsIL venga ricacciato indietro o meno, il governo non ha passato il test: a due anni dal ritiro delle truppe statunitensi, l’Iraq è un Paese gravemente frammentato in tribù e comunità religiose ed etniche. Nessuna pacificazione interna appare all’orizzonte, un orizzonte fatto di profondi settarismi, figli sia delle scelte politiche dell’esecutivo sciita che del naturale contagio della vicina guerra civile siriana. Il confine con la Siria non è mai stato tanto permeabile: a combattere per le strade di Fallujah e Ramadi sono gli stessi jihadisti impegnati nel conflitto contro il presidente siriano Bashar al Assad a Homs e Aleppo.

 

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