In gioco il destino di umani e non-umani
Specismo Il salto di specie da cui nasce il Covid19 è facilitato dagli allevamenti intensivi di carne. Espressione di una mentalità che tende alla sopraffazione del più debole, che si esprime nello sfruttamento degli animali, della natura e dell'uomo
Specismo Il salto di specie da cui nasce il Covid19 è facilitato dagli allevamenti intensivi di carne. Espressione di una mentalità che tende alla sopraffazione del più debole, che si esprime nello sfruttamento degli animali, della natura e dell'uomo
Sulla spiaggia di Camogli un capriolo corre da solo in riva al mare, a volte tuffandosi tra le onde. Queste immagini, condivise in rete sotto forma di video, forse hanno emozionato chi ha potuto vederle: per la loro poeticità, per il senso di gioiosa libertà che evocavano. Incanto ed empatia del tutto effimeri poiché, poco dopo, qualche insensato esemplare di homo sapiens gli si è avvicinato troppo, spaventandolo a morte, in senso letterale.
Il capriolo è fuggito, a giusta ragione: viveva in un’area di boschi e radure ove la caccia ai suoi simili nonché ai daini è consentita e abituale. Perciò, terrorizzata, la povera creatura ha tentato di oltrepassare un cancello: ne è stata infilzata sicché, dopo un’ora di atroce sofferenza, è stata pietosamente finita da un veterinario dell’Enpa. La vicenda crudele, accaduta il 14 aprile scorso, sembra una metafora della pandemia attuale, se è vero che essa ha a che fare anche con la consueta attitudine degli umani a reificare i non-umani, così che essi non vengono percepiti e concepiti quali sono: esseri senzienti, sensibili, singolari.
La loro reificazione è divenuta mercificazione massiva con gli allevamenti intensivi e i mattatoi automatizzati, propri delle società industriali-capitalistiche: strutture concentrazionarie che, favorendo il “salto di specie”, rappresentano una delle cause che hanno provocato la pandemia attuale, al pari di non poche altre precedenti. Basta citare la Sars («Sindrome respiratoria acuta grave»), che si diffuse tra il 2002 e il 2003, ugualmente provocata da un coronavirus.
Tutto ciò è dialetticamente connesso con i processi rapidi e sempre più dilaganti di deforestazione, urbanizzazione, industrializzazione, anche dell’agricoltura, che sottraggono progressive porzioni di habitat agli animali detti selvatici. I quali, se sopravvivono, non possono che approssimarsi agli insediamenti umani e quindi anche agli animali «da allevamento», tra i più vulnerabili poiché immunologicamente depressi a causa delle condizioni e del trattamento estremi cui sono sottoposti (fra l’altro, la somministrazione di dosi abnormi di antibiotici).
In un volume di vent’anni fa, tragicamente attuale, Homo sapiens e mucca pazza, scrivevo che chi acquista, per esempio, «carne di vitello ignora o vuole ignorare che la chiarezza di quella chair (carne umana) divenuta viande è ottenuta costringendo il cucciolo di bovino a vivere la sua breve vita nell’immobilità assoluta, imbottito di ogni genere di farmaci che ne invecchiano rapidamente gli organi, imprigionato in uno spazio angusto e buio».
Se le ragioni della propensione a cibarsi di «carne» vanno ricercate soprattutto sul versante del mercato e degli interessi dell’industria zootecnica, non va trascurata l’importanza della ragione simbolica: nel 1992, Jacques Derrida in Points de suspension aveva delineato la figura di una soggettività «carneo-fallogocentrica», propria del soggetto maschile, detentore del logos e, per l’appunto, carnivoro. Si aggiunga la crudele manipolazione di viventi che si compie con gli esperimenti di transgenesi, clonazione e così via. Con gli animali-laboratorio, il ciclo maledetto che ho tratteggiato tocca il culmine. Sicché non è troppo azzardata l’analogia con le pratiche naziste di riduzione di corpi umani a manichini, strumenti, cavie per la realizzazione di atroci esperimenti «scientifici».
E tuttavia, in piena crisi pandemica, allorché la consapevolezza della centralità del tema del nostro rapporto perverso con gli ecosistemi e con i non-umani avrebbe dovuto essere largamente condivisa, tanto più da dotti, qualcuno si lasciava andare ad affermazioni sconcertanti. Alludo al virologo Roberto Burioni, il quale, in tv si augurava che anche «i nostri amici a quattro zampe» possano contrarre il Covid-19 perché questo «ci permetterà di avere un notevole vantaggio nella sperimentazione dei vaccini».
Eppure è ben noto che il modello degli esperimenti su non-umani, oltre che eticamente inaccettabile, è ormai così costoso e sorpassato da rendere assai improbabile la realizzazione di farmaci e vaccini efficaci. Tutto ciò non riguarda solo il destino dei non-umani. Un’ideologia e pratiche analoghe guidano la sacrificabilità selettiva degli umani, i più vulnerabili, esposti, precari e/o alterizzati, come abbiamo constatato anche nel corso dell’attuale pandemia.
Si pensi ai decessi di massa, prevedibili, in non pochi casi colposi, nelle residenze per anziani. E si consideri la condizione dei detenuti nelle carceri o nelle prigioni extra ordinem che sono i Cpr, nonché quella dei senzatetto, italiani e stranieri, perfino richiedenti-asilo, ma anche dei braccianti immigrati rimasti intrappolati nei ghetti, a rischio di morte per inedia…Per non dire delle stragi nel Mediterraneo, che neppure la pandemia ha arrestato. Per intaccarlo, quest’ordine perverso, ma anche per impedire che lo stato di eccezione si tramuti in forma ordinaria di governo, dovremmo radicalizzare, lucidamente e coerentemente, la critica del capitalismo globale, sempre più predatorio e mortifero.
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