In ginocchio dal politico come Vespa docet
L’eloquio accidentato, i fogli in mano per non dimenticare, le parole che sfuggono, un conduttore sornione ma «impagabile» (parole di Berlusconi) per un trattamento privilegiato sulle poltrone bianche di Porta […]
L’eloquio accidentato, i fogli in mano per non dimenticare, le parole che sfuggono, un conduttore sornione ma «impagabile» (parole di Berlusconi) per un trattamento privilegiato sulle poltrone bianche di Porta […]
L’eloquio accidentato, i fogli in mano per non dimenticare, le parole che sfuggono, un conduttore sornione ma «impagabile» (parole di Berlusconi) per un trattamento privilegiato sulle poltrone bianche di Porta a Porta, con riesumazione della famosa scrivania.
Chissà se la puntata di Porta a Porta di mercoledì sera (1.492.000 spettatori, 14,5% di share) è stata la mesta epifania del ventennio berlusconiano o il presagio di un disastroso nuovo inizio.
Fatto sta che la deprimente ri-messa in scena, 17 anni dopo, del contratto con gli italiani con tanto di scrivania di ciliegio, una rappresentazione elettorale studiata/assecondata da Vespa, più che confermare il nietzchiano eterno ritorno dell’uguale, ci racconta di un giornalismo nazionale televisivo nella maggior parte dei casi (ma con notevoli eccezioni, oggi come ieri) privo di vera autonomia. E di autorevolezza.
Prono ai desiderata dell’ospite (potente) di turno, incapace di sottrarsi a regole d’ingaggio subalterne, quando non umilianti.
Ci sono stati tempi migliori in cui sembrò che un nuovo modello di fare informazione, più impertinente ed aggressivo verso il potere, potesse emergere dal piccolo schermo contagiando il resto del sistema dei media: il decennio che va dalla metà degli anni ottanta alla metà degli anni novanta, un breve ma intenso periodo subito dopo la riforma del 1975; ma di quelle stagioni rimane ben poco.
Del resto proprio Porta a Porta, nata a gennaio del 1996, sanciva l’inizio di una nuova temperie, più salottiera e gossip, dopo la tv militante dei primi anni Novanta.
Oramai nei talk quotidiani si contrattano le domande, si concordano gli argomenti, perfino le riprese e il trucco, la presenza degli ospiti, il pubblico che applaude, e addirittura le scenografie.
Il problema non riguarda solo Vespa, che con la sua scrivania è un caso di scuola, ma le decine e decine di programmi in cui è prevista la presenza di politici.
E coinvolge anche tutti i partiti, nessuno escluso, visto che pure i Cinquestelle si comportano come gli altri.
Lo spettacolo dell’altra sera a Porta a Porta ci parla di questo.
Ma di questo ci parla nei telegiornali pure il genere dell’intervista in ginocchio, o i microfoni gentilmente offerti al politico di turno, che dice quello che vuole senza subire nessuna interruzione: viene inquadrato, dichiara e via.
In altri paesi non funziona così: ad esempio in Francia l’intervista al politico è un genere molto meno frequentato, ma più serio.
In una democrazia la qualità dell’informazione è essenziale per la qualità della democrazia.
Ma in Italia l’informazione che passa in tv, ma non solo quella, da troppo tempo non sta molto bene.
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