I trentasette microsaggi che in quindici anni Giorgio Maffei scrisse per la rivista online di cultura libraria Wuz sono da qualche mese di nuovo disponibili. I libri d’artista che hanno fatto storia (Editrice Bibliografica, pp. 200, euro 29.50) sono la ricognizione più documentata in lingua italiana di un fenomeno che continuerà a donare sorprese in futuro.

AMBROGIO BORSANI, che lo aveva chiamato dal 2001 a collaborare, premette che «ogni articolo rappresenta il racconto di un’idea, di una ricerca espressiva, estetica, di una tecnica, di un sentiero per una deviazione artistica dai canoni del libro tradizionale». In fuga da Gutenberg è infatti il titolo dell’ultimo articolo. Un modo suggestivo di dire cosa sia il libro d’artista, sulla cui definizione c’è un solo concorde giudizio: si tratta di cose e di pratiche ambigue e sempre in movimento. Così a un certo punto Maffei scrive che a unificare i contenuti c’è «una marcata volontà di visualizzazione del discorso poetico» ma che cercheremmo «inutilmente di definire e comprimere in categorie estetiche un’opera d’arte per sua natura sfuggente, su cui regna la sola inimbrigliabile maestà creativa dell’artista».

LA RASSEGNA SI INTERRUPPE perché nel 2016 la morte giunse precocemente. Maura Picciau, che con Maffei ebbe una lunga e fruttuosa collaborazione, fornisce un profilo intellettuale e umano molto affettuoso e convincente: personalità schiva e sorniona, spirito lieve e ironico, ebbe di certo un piglio critico innovativo e antigerarchico. E certo lo testimonia la sua lunga attività in questo particolare mondo del libro, ch’è apparentemente marginale ma in realtà si incastra in una delle questioni più cruciali e in rivolgimento inesorabile degli ultimi decenni: cioè il rapporto tra parola e immagine.

NEL GRANDE MARE di queste cose che sono i libri d’artista, Maffei mantenne una rotta fedele: fu specialmente interessato a quelle esperienze d’incrocio tra il visuale e il verbale, in cui gli artisti cercano di condizionare gesti e visioni nella forma libro e i letterati cercano di aprire la forma libro all’immagine. Circuiti virtuosi che producono nuovi linguaggi e significati, nuove emozioni e grammatiche. L’arco temporale preso in esame dagli articoli palesa un’intenzione di storicizzazione: dall’epoca delle avanguardie storiche, da Mallarmé, Blaise Cendras e Sonia Delaunay, Kandinskij, i futuristi e poi i grandi artisti e poeti che modificarono la percezione dell’oggetto artistico, Moholy-Nagy, Majakovskij e El Lissitzky, Duchamp, Ernst, Matisse.
Sono loro, nei primi decenni del Novecento a rompere il diaframma, a precipitare le immagini nel libro e a tagliarne la superficie. E le cose si intensificano con gli anni ’50, il grande genio di Munari coi Libri illeggibili, e poi Novelli, Jorn e Debord, i silenzi di Cage, il monocromismo di Klein. Ma poi sono gli anni ’60 e ’70 a dominare la scena, con un interesse spiccato per le neoavanguardie, che in effetti tra libri, libri-oggetto, poesia visiva molto si mossero in quei terreni, con Manzoni, Fontana, Warhol, Villa, Sigelaub, Mulas, Ruscha, Queneau, Boetti, Vaccari, Gilbert&George, l’antologia e le edizioni Geiger: un miscelarsi di arti e mestieri, poeti, artisti, fotografi. La ricostruzione storica di queste avventure è molto utile, perché nelle azioni editoriali attuali, materiali, grafica, immaginario, ragionamenti, emozioni hanno fatto di quegli sperimentalismi una pratica quotidiana, qualche volta invisibile ma sempre più radicata ed efficace.

MAFFEI NON RACCONTÒ mai solo un’opera ma cercò di individuare il punto, la situazione, il motivo in cui e per cui il libro d’artista era stato immaginato e prodotto: dato che non è una folgorazione né un miracolo, ma la maturazione di un processo che ha le sue radici nel sistema delle arti e della comunicazione. In questo senso, ogni articolo è un tassello della storia dell’arte e della letteratura, scritto dall’angolazione speciale del libro non-libro, qual è il libro d’artista.