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In Emilia il vino rifermenta a primavera

In Emilia il vino rifermenta a primavera

L'iniziativa Tra Bologna e Piacenza la tradizione vinicola «Sur lì»: la fermentazione si blocca in inverno, e a primavera con l’imbottigliamento riprende

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 31 maggio 2018

Marco Rizzardi, vignaiolo a Pastorello di Langhirano, sull’Appennino parmense, è tra i protagonisti della festa di Emilia Sur Lì, dedicata alla tradizione emiliana dei vini rifermentati in bottiglia.

Sono una ventina i produttori che si sono dati appuntamento per domenica 2 giugno a San Polo d’Enza (Re), e offriranno al pubblico una degustazione che è anche un percorso storico e culturale (vedi box): spiegheranno perché da sempre, tra Bologna e Piacenza, il vino – su tutti quelli da uve Lambrusco – s’è fatto così, e perché rifermentato non è sinonimo di frizzante. Marco Rizzardi, titolare dell’azienda agricola Crocizia, propone tra l’altro anche una verticale, per apprezzare l’evoluzione in bottiglia del suo Balòs, un Pinot Nero rosato, stappando anche un vino del 2009.

Per capire come si fa un vino “mosso” capace di reggere quasi dieci anni, bisogna salire fino a una bella colonica, restaurata nei primi anni Novanta da una famiglia della bassa parmense. Sul retro dell’abitazione, che è circondata dai boschi, stanno le vigne. Marco Rizzardi e il padre Aurelio le hanno messe a dimora venticinque anni fa: oggi rappresentano il cuore dell’Azienda agricola Crocizia.

Siamo a quasi 500 metri d’altezza, e qui in meno di un ettaro di collina hanno trovato dimora tutte le più importanti varietà locali, che sono la Malvasia, il Sauvignon, la Barbera, la Croatina e il Lambrusco. Nell’abitazione oggi vive con la famiglia la sorella di Marco. La cantina è al piano terra. «Questa è una delle due vigne grandi, e poi coltiviamo anche, in affitto, 8 parcelle da mille metri, filari che hanno cinquanta o sessant’anni, e che rischiavano l’abbandono da parte di proprietari ormai anziani. I filari sono inerbiti, ed è una scelta figlia della storia aziendale: il sesto d’impianto delle parcelle in affitto è troppo stretto per qualsiasi mezzo meccanico, dato che erano pensate per una lavorazione manuale». Contadina.
Fino agli inizi del Novecento l’Appennino parmense era ricco di appezzamenti coltivati a vite: «Prima della fillossera qui si producevano vini importanti, da invecchiamento. A differenza delle altre province emiliane, però, questo territorio ha poi seguito altre direzioni di sviluppo» spiega Marco.

Il vigneto è stato impiantato tra il 1992 e il 1993, ma quassù c’è poca acqua e gli inverni sono rigidi: per arrivare alla prima vendemmia sono passati ben sei anni. Nel frattempo, Marco mi ero laurea in Chimica industriale, e fino al 2002 lavora in quel settore. «Poi mi sono licenziato e per imparare il mestiere sono andato a lavorare per cinque anni in una azienda vinicola del territorio» spiega Marco.

Crocizia era cresciuta, e lui si preparava a farne il proprio lavoro: nel 2003 Marco e Aurelio avevano imbottigliato le prime 4 mila bottiglie, 2.500 di rosso e le altre di bianco. «Già allora l’azienda era biologica certificata, e oggi utilizzo anche alcuni preparati biodinamici. Dopo quindici anni restiamo una realtà piccola-piccola: arriviamo, a seconda dell’annata, a dieci, massimo 12mila bottiglie. E il nostro modo di lavorare non è mai cambiato: facciamo i vini che vorremmo bere ogni giorno, seguendo la tradizione emiliana dei rifermentati in bottiglia. Tutti i nostri vini vengono imbottigliati a primavera, quando c’è ancora un leggero residuo zuccherino che dà il la alla seconda fermentazione, che avviene utilizzando esclusivamente lieviti indigeni».

Ecco la tradizione emiliana, che è scritta nella storia vinicola dell’Appennino: qui si coltivano vitigni come la Barbera o il Lambrusco, che hanno tempi lunghi di maturazione e rendono necessarie vendemmie tardive (non a caso una delle etichette di Marco, da uve Barbera, è “Otòbbor”, ottobre). Gli inverni subito rigidi bloccano però la fermentazione: i mosti così non arrivavano mai a completarla, e quando a primavera s’imbottiglia il vino avviene la “presa di spuma”.

È questo processo che Crocizia e un gruppo di vignaioli hanno scelto di valorizzare tre anni fa, quando hanno dato vita a Emilia Sur Lì (sui lieviti), che è un’associazione di promozione sociale il cui obiettivo è far capire ad un pubblico ampio cosa c’è dietro un vino rifermentato in bottiglia, spiegando anche che questo metodo garantisce vini che possono avere un’evoluzione in bottiglia, non come i frizzanti fermentati in autoclave, che durano due o tre mesi dall’imbottigliamento. «Se in un territorio, in questo caso l’Emilia, è nato un modo unico di fare vino, non è stato per caso», dice Marco.

I soci sono 26 produttori. Nei primi due anni Emilia Sur Lì ha organizzato 3 eventi, a Lesignano de’ Bagni (Pr) e a Parma, il quarto è quello in programma a San Polo d’Enza. «Abbiamo continue richieste di adesioni da parte di nuovi produttori, che però non capiscono che “Emilia Sur Lì” non è una fiera come le altre, ma un percorso culturale. Il nostro obiettivo non è vendere, ma dare dignità a una pratica agricola, ed è per questo che oltre alle degustazioni organizziamo anche un convegno, un momento di approfondimento». L’associazione Emilia Sur Lì, inoltre, non è aperta a tutti, ma solo ai vignaioli cioè a coloro che seguono all’interno di un’azienda tutto il processo produttivo, spesso fino alla distribuzione, e le cui aziende siano certificate biologiche o biodinamiche.

L’Emilia è presente anche nei nomi dei vini di Crocizia. Oltre ad Otòbbor, ci sono tra gli altri Znestra (ginestra, Malvasia secca frizzante) e S’cètt (schietto, genuino, Barbera e Pinot Nero frizzante).
Non c’è solo vino, però, a Crocizia. La nuova scommessa si chiama Ciderpunk, ed è un sidro di mele secco rifermentato in bottiglia. Anche in questo caso, è il recupero di una tradizione: «Le piante da frutto ci sono nelle piccole vigne che abbiamo in affitto. Per le famiglie contadine di questa zona era normale produrre del sidro, e questo garantiva qualcosa di alcolico da portare a tavola anche nelle annate in cui c’era poca uva, com’è stata quella del 2017, a causa della grandinata d’aprile e della siccità estiva» racconta Marco. A primavera, come i vini, anche il sidro è finito in bottiglia. Per iniziare lì la seconda fermentazione.

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