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In Corea del sud. Arirànghete 2

In Corea del sud. Arirànghete 2Foto di Andrea De Santis via Pexels (licenza creative commons)

Moscow Mule Al mercato di Gwangjang fa bene al cuore perdersi...

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 9 marzo 2024

«Hai mai mangiato in un posto del genere?» Chi è che sta parlando? Chi è che farfuglia sciocchezze? Te lo meriti il tteokbokki infuocato. Ah, un’americana, una delle tante, che gira per l’Asia insegnando inglese ai popoli bisognosi. La ragazza vuole spiegarmi come si mangia nei mercati asiatici, poiché la questione è complessa. Al mercato di Gwangjang fa bene al cuore perdersi, provare piatti mai visti, sedersi accanto a sconosciuti e farsi spiegare, appunto, come funziona il mondo. Assaggio qualsiasi cosa: non ho nulla da perdere e tutta la gastrite da guadagnare. Sulla questione lingua inglese il problema è solo del turista affranto, non essendo questo un Paese anglofono; quindi, tutti gli stranieri che si struggono, me inclusa, mi commuovono. La sensazione vacua di far parte di una comunità, detta anche «resto del mondo» che quando si incontra per strada, ai semafori, si lancia occhiate d’intesa e sorrisi empatici. Si è sempre l’immigrato di qualcun altro, a turno. Faccio le mie elucubrazioni giornaliere mentre osservo i fidanzati passeggiare vestiti in tinta simile o in abbinamento armonico, sembrano usciti da una réclame o da un film dell’orrore, suscitando invidie in chi proviene da città in cui il poliamore e l’eticità non monogama ha preso il sopravvento su tutti i romanzi popolari alla base di ogni sacro matrimonio.

In Corea del Sud il mito fondativo di «Ghost» ha forse ragion d’essere? Eppure, in quanto altra attiro la curiosità verso la straniera; c’è ancora qualcuno che considera il nostro fascino non intaccato dalla decadenza. «Portami la borsa» dice la donna coreana al fidanzato, e lui esegue, anche se il carico non è necessariamente pesante o molesto e neanche i coreani stessi sanno spiegare questo costume. Questa usanza fa ridere me e Catherine, un’olandese conosciuta per caso, in cerca di monumenti e mostre interessanti e murales di cui mi importa molto poco. Nonostante questa reticenza ai graffitari locali, passiamo il pomeriggio insieme, sotto la pioggia, a ciarlare di relazioni e ragazzi e ragazze coreane: ne ho beccate un paio con un grande bigodino per la frangia, in metropolitana e perfino al ristorante, una moda? Lo chiedo a un hair-stylist berlinese e mi conferma che davvero potrebbe esserla: «Ti ricordi quando la gente andava in giro con la stagnola delle mèches?» No, non ero presente al fenomeno culturale delle stagnole in testa. Nel frattempo, a Seoul, in centro, c’è un canale artificiale dove si passeggia, si mangia pollo fritto da asporto, ci si innamora e si ascoltano musicisti di strada locali. Dietro il sorriso sornione non sai mai quello che vorrebbero dirti. Ed è proprio questo sintomatico mistero ad esasperare il mio amore predatorio.

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