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In cinque anni 800mila via dall’Italia

In cinque anni 800mila via dall’Italia

Osservatorio consulenti del lavoro Effetto crisi: quasi due terzi sono «expat», tutti gli altri sono stranieri tornati indietro. Ulteriori 380 mila si sono spostati invece dal Sud al Nord del Paese

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 22 giugno 2017

Un esercito di 509 mila italiani si è cancellato dall’anagrafe per trasferirsi all’estero per motivi di lavoro nel periodo 2008-2016. È quanto risulta dal rapporto «Il lavoro dove c’è» dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, presentato ieri a Roma. Ma non basta, perché a questo numero – già alto – si devono aggiungere quasi 300 mila stranieri che, non trovando più opportunità di inserimento nel mercato italiano, hanno scelto di riprendere la strada di casa.

La prima meta degli italiani expat è stata la Germania, dove nel solo 2015 in 20 mila hanno trasferito la residenza; al secondo posto, «in forte crescita», c’è la Gran Bretagna (19 mila) e, in terza posizione, la Francia (oltre 12 mila). La «fuga» occupazionale di chi è nato nella Penisola, si legge nel dossier dei Consulenti del lavoro, ha subito un significativo incremento a partire dal 2012, anno in cui il totale di chi aveva fatto le valigie era già al livello di 236.160 persone: cifra salita a 318.255 nel 2013 e a 407.114 nel 2014, per poi superare il mezzo milione nel 2015.

Tra i più colpiti dalla crisi, però, come detto, ci sono anche gli stranieri che avevano preso residenza in Italia: un numero considerevole di cittadini dell’Est Europa – in particolare romeni, polacchi, ucraini e moldavi – ha scelto di ritornare al proprio Paese (o comunque di cambiare luogo) perché evidentemente il costo del trasferimento nel nostro Paese «non era più giustificato dai redditi da lavoro percepiti».

Ma non basta: un altro fenomeno che si è osservato con la crisi è stato l’intensificarsi della migrazione dalle regioni meridionali al Nord Italia: dal 2008 al 2015 la disoccupazione nel Mezzogiorno «ha prodotto un aumento di 273 mila residenti al Nord e di 110 mila al Centro», con un totale di 383 mila persone andate via dalle regioni del Sud.

I flussi migratori più intensi all’interno dell’Italia si sono registrati da Campania (-160 mila iscritti all’anagrafe dei comuni), Puglia e Sicilia (-73 mila). Le regioni che hanno ricevuto il numero maggiore di cittadini sono la Lombardia (+102 mila), l’Emilia Romagna (+82 mila), il Lazio (+51 mila) e la Toscana (+54 mila).

Ma che identikit ha chi si è spostato da Sud a Nord0: secondo il rapporto si tratta principalmente di lavoratori qualificati che vedono nella fuga dal Mezzogiorno la via migliore per guadagnare di più. È facile notare anche come il lavoro nelle città di residenza sia diminuito in questi anni e come le opportunità di impiego siano distribuite in modo diverso da territorio a territorio. Lavorare nel comune di residenza sembra, infatti, un privilegio riservato agli occupati tra i 15 e i 64 anni residenti in 13 grandi comuni con oltre 250 mila abitanti in cui Genova, Roma e Palermo superano il 90% di occupati residenti nel 2016. Inoltre, oltre un occupato su dieci lavora in una provincia diversa da quella di residenza.

Questo spaccato conferma quanto già rilevato dallo stesso osservatorio nel rapporto annuale sulle dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane, in cui le possibilità occupazionali nelle 110 aree provinciali italiane si differenziano enormemente da Nord a Sud. Si passa, infatti, da un tasso di occupazione del 37% nella provincia di Reggio Calabria a un tasso del 72% nella provincia di Bolzano.

Se il dato della mobilità è ben presente nei cambi di residenza altrettanto si può dire per il pendolarismo, quotidiano e interprovinciale, che può incidere fortemente sullo stipendio, la soddisfazione dei lavoratori e la qualità della vita. Dal rapporto emerge, ad esempio, che Milano, per le sue brevi distanze, l’intensità delle occasioni di lavoro e i servizi di trasporto efficienti, è l’epicentro degli spostamenti interprovinciali in Italia. Il capoluogo lombardo, infatti, è presente fra le province di destinazione o di partenza degli occupati «pendolari» in ben 6 delle 10 principali tratte pendolari. Al primo posto ci sono i 118 mila lavoratori che ogni giorno si muovono da Monza e Brianza per lavorare a Milano. Al secondo posto 59 mila lavoratori residenti a Varese che vanno abitualmente a lavorare in un comune della provincia di Milano, mentre al terzo posto troviamo 48 mila residenti a Bergamo che raggiungono abitualmente il capoluogo lombardo per motivi di lavoro.

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