Se nel primo volume dedicato a quarant’anni di mirabolanti performance del corpo (autolesionista, solipsistico, radicale, ansiogeno) la docente e critica d’arte Teresa Macrì aveva raccontato un teatro fisico della dissidenza, sempre in bilico fra l’obsolescenza del proprio destino e il desiderio di ibridazione così da poter ridisegnare a piacimento i confini biologici (un’utopia che, a volte, ha lambito il fallimento concettuale, oltre che politico), in questo secondo libro dedicato agli Slittamenti della performance Volume 2. Anni 2000-2022, Postmedia Books, pp. 306, euro 24) sotto i riflettori finiscono gli ultimi due decenni, testimoniando in molti casi un «lavoro in corso» dell’immaginario, che lascia aperte diverse possibilità di approdo.
Nella nuova opera di Macrì non c’è nulla di archiviabile e, come avverte la stessa autrice, si procede passionalmente e in maniera fenomenologica – mai enciclopedica – privilegiando un désordre creativo senza imporre nessuna classificazione. D’altronde, sarebbe difficile proporre una tassidermia del presente. Presente che, pur fluido e in mutamento, da parte sua non nega alcune reti connettive, offrendo una direzione all’indagine dell’autrice, da cui ne originano, a cascata, molte altre.

LA STUDIOSA SOTTOLINEA che, in questi primi decenni del terzo millennio, non pochi performer sono alla ricerca di «alleanze», nel tentativo di incorporare l’altro da sé, appropriandosi spesso di spazi pubblici, di luoghi della città da ri-vivere per attivarne il ciclo vitale con azioni urbane, maratone, processioni: una socialità che si prefigge di rendere visibile un’umanità in genere emarginata e porta in primo piano le culture subalterne in un contrasto acceso con quelle egemoniche. In agguato, c’è il pericolo del politicamente corretto e l’assuefazione indotta dall’art system che ingloba e digerisce il nuovo linguaggio.

NON INCORRE IN QUESTO RISCHIO Tino Sehgal, Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2013. Mette in scena i players, che danzano, vocalizzano, recitano, catturando lo spettatore in un gioco di specchi, procedendo in quella smaterializzazione dell’oggetto che sembra essere il leitmotiv delle ricerche ultime. Anche le parate sociali di Marinella Senatore imbastiscono nel tempo storie di corpi che si ritrovano in un afflato corale. In Eastman Radio Drama (per la mostra Illuminations che accompagnava l’Esposizione veneziana del 2011), al centro c’era il polo petrolchimico di Marghera e la narrazione (dal vero) delle condizioni lavorative ed esistenziali di chi lì ha sempre gravitato. Francis Alÿs (le cui radicali camminate, processioni e rovesciamenti di paesaggi avevano fatto da perno a un precedente libro di Macrì, Politics Poetics, Postmedia), posto in paragone con Jeremy Deller, decostruisce i territori che attraversa con «derive psicogeografiche» di stampo situazionista: sono azioni assurde, effimere, come il faticoso compito di spostare per ore un blocco di ghiaccio che va sciogliendosi. È così, scrive l’autrice, «che l’artista reimmagina la società postcapitalista», spazzando via ogni aura sacrale della performance (che invece pervadeva quella classica).

NEL CAPITOLO «THE FASHIONIST» è la semiologia dell’abito a essere analizzata: da Vanessa Beecroft a Sissi fino a Alessio Bolzoni mascheramenti e denudamenti del sé dialogano con l’universo della moda ma anche con un’emotività che accoglie le perturbazioni del corpo-feticcio.
A sfondare la soglia della corporeità c’è pure Nico Vascellari, proveniente dal mondo della controcultura giovanile e pronto alla «rupture» comportamentale con i suoi meccanismi volatili (impermanenza del suono, musica, dislocamenti percettivi, devianze visive).
Teresa Macrì e il direttore del Maxxi Bartolomeo Pietromarchi, oggi alle 18, discuteranno sul libro Slittamenti delle performance e sarà presente anche Vascellari. Si parlerà della frontiera liquida della delegated performance e dell’auspicata uscita dalla comfort zone dell’arte.