In carcere un detenuto su due è affetto da disturbi psichici
Malattia mentale e crimine Molti sviluppano le patologie tra le mura, ma tanti vi arrivano già malati. O, peggio, perché malati
Malattia mentale e crimine Molti sviluppano le patologie tra le mura, ma tanti vi arrivano già malati. O, peggio, perché malati
Fondine antiscippo, pistole taser, protezioni antiproiettile: molti giornali ieri davano spazio alle richieste di alcuni sindacati di polizia da sempre abituati a dare più peso agli armamenti che alle condizioni sociali nelle quali si trovano ad intervenire le forze dell’ordine. La terribile tragedia di Trieste nella quale due ragazzi hanno perso la vita mentre servivano lo Stato suggerisce invece una riflessione sulla malattia mentale e su quanto sia sottovalutata in questo Paese, fino a che non diventa oggetto di cronaca nera. Perfino nella città che ha fatto da laboratorio alla riforma Basaglia. E invece basta dare un’occhiata all’interno dei 190 istituti penitenziari italiani per intuire una qualche relazione stretta (prevenibile e forse evitabile) tra patologie psichiche e crimine.
Secondo i dati diffusi dalla Simspe, Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, in occasione del XX Congresso nazionale Agorà Penitenziaria che si è tenuto un paio di giorni fa Milano, il 50% delle persone detenute in carcere presenta una malattia o un disturbo mentale (e il 25% una dipendenza da sostanza psicoattiva, con conseguenze anche psichiche, naturalmente). Sicuramente, come spiegano gli stessi esperti Simspe, una parte di questi disturbi si genera proprio all’interno delle mura carcerarie, anche a causa delle pessime condizioni di vita detentiva. Ma c’è una percentuale di persone che in carcere arriva già malata o perfino proprio perché malata.
Secondo il Rapporto 2019 del Comitato nazionale per la bioetica, le più diffuse patologie psichiche che affliggono la popolazione detenuta (giunta di nuovo alla scandalosa cifra di 60.882, su una capienza regolamentare di 50.472 posti disponibili) sono per il 17,3% disturbi nevrotici e reazioni di adattamento e per il 5,6% correlate all’abuso di alcol. Vengono poi registrate una serie di patologie meno diffuse ma che di solito hanno un tempo di “incubazione” molto lungo, dunque difficilmente correlate alla circostanza carceraria: disturbi affettivi psicotici (2,7%), disturbi della personalità e del comportamento (1,6%), disturbi depressivi non psicotici (0,9%), disturbi mentali organici senili e presenili (0,7%), disturbi da spettro schizofrenico (0,6%).
Maschi e femmine soffrono in modo diverso: sono gli uomini ad essere maggiormente affetti da disturbi correlati alle sostanze (50,8% dei maschi, 32,5% delle femmine) e all’alcol (9,1% contro il 6,9% delle donne). Mentre per le detenute la diagnosi più comune è quella di «disturbi nevrotici e reazioni di adattamento» (36,6% delle diagnosi femminili, 27,1% delle diagnosi maschili), seguita da disturbi affettivi psicotici (10,1%, 4,1% degli uomini). Meno comuni ma non per questo meno problematici, i disturbi della personalità e del comportamento (2,4% degli uomini, 3,4% delle donne) e quelli depressivi non psicotici (1,3% degli uomini, 2,8% delle donne).
Per curare queste persone, i servizi di salute mentali operanti in carcere, e sul territorio, non sono sufficienti. Le risorse – umane ed economiche – sono talmente scarse da rendere poi impossibile qualsiasi tipo di prevenzione alle patologie croniche (e ad alcuni tipi di comportamenti criminosi). Una situazione che è peggiorata con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari perché troppo poche sono le Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) disponibili.
Secondo il presidente Simspe, Luciano Lucania, quello che continua a mancare è un Osservatorio epidemiologico nazionale. «Oggi sono assicurate certamente le cure farmacologiche più aggiornate – afferma – Tuttavia manca il raccordo fra “dentro” e “fuori”, manca l’interlocuzione diretta dei presidi con l’autorità giudiziaria, manca una rete territoriale di accoglienza. Le malattie mentali, il disagio esistenziale, la depressione, gli esiti devastanti della tossicodipendenza sulla persona non sono misurabili come le cardiopatie e le malattie infettive». E, aggiunge Liliana Lorettu della Sipf, Società italiana psichiatria forense, «il comportamento violento sino al suicidio sono l’estrema risposta di chi non riesce ad uscire dal pantano».
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