In bicicletta sottozero, Omar Di Felice
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In bicicletta sottozero, Omar Di Felice

Intervista Il ciclista 40enne racconta la sua avventura dopo aver attraversato su due ruote e sellino il circolo polare artico
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 maggio 2022

Un giro in bicicletta intorno al circolo polare artico per vedere da vicino come sta! È l’ultima avventura dell’ultracyclist Omar Di Felice, 40 anni. Ha pedalato per oltre due mesi in un giro del mondo artico diventando il primo ciclista ad averlo attraversato lungo le sue tre linee di confine. La partenza il 2 febbraio scorso dalla Kamchatka, in Russia, per poi attraversare la Lapponia, da Murmansk (Russia) a Tromsø (Norvegia), proseguendo per le Isole Svalbard, Groenlandia e Islanda prima dell’approdo finale nelle regioni artiche del nord America dove ha pedalato tra Whitehorse (Canada) fino alla linea del circolo polare artico in Alaska (Stati Uniti), lungo la Dalton Highway.

L’arrivo il 10 aprile scorso dopo 4200 chilometri, tutti in solitaria, con temperature sempre sotto lo zero fino a una punta minima di –42 °C nelle Isole Svalbard. «Questa avventura fa parte del secondo capitolo del progetto Bike to 1.5° C», ricorda Omar Di Felice, «che compio assieme l’associazione Italian Climate Network nel ruolo di divulgatore sul tema dei cambiamenti climatici aiutato da Marirosa Iannelli, coordinatrice clima e advocacy di ICN. Alle lunghe pedalate giornaliere ho alternato», prosegue, «delle dirette serali con esperti e scienziati».

La prima collaborazione risale all’autunno scorso in occasione della Conferenza sul clima, la COP26, dove la sua bici è stata la prima ad entrare ufficialmente alle Nazioni Unite dopo aver percorso duemila chilometri da Milano a Glasgow (Scozia) portando il messaggio che bisogna abbattere le emissioni di gas serra e che occorre contenere l’innalzamento della temperatura media della Terra entro 1,5° C. Proprio in virtù dell’importanza di ridurre le emissioni e consapevole dell’impatto che hanno avuto gli spostamenti tra le varie regioni artiche quando la presenza di ostacoli naturali ha reso indispensabile lo spostamento aereo tra le varie nazioni, Di Felice, in collaborazione con Treedom, ha compensato tutte le emissioni prodotte con piccoli progetti di messa a dimora di piante in alcuni Paesi del mondo più impattati dai cambiamenti climatici.

Di Felice, ex ciclista professionista, non è nuovo a imprese «impossibili». Nel suo curriculum anche l’attraversata dell’Arctic Highway in Canada, dell’Islanda, dell’Alaska e dell’Himalaya con l’arrivo al campo base dell’Everest posto a 5.364 metri di quota e dopo 1300 chilometri e 34.000 metri di dislivello.

Di Felice, ci sono stati momenti difficili?
Certo, dalle difficoltà tecniche relative alla bicicletta fino a rischi legati ai congelamenti. Per esempio, in Groenlandia e Islanda ho dovuto affrontare bufere di neve o rivedere in itinere le soste improvvisando bivacchi nelle cabin, dei piccoli rifugi di montagna dove è possibile trovare riparo chiudendosi nel proprio sacco a pelo, utilizzando un fornellino, e del carburante caricato sulla slitta, per fondere la neve da cui ricavare acqua o cucinare. Qualche volta ho dovuto spingere la bicicletta nella neve alta accumulata durante le forti bufere quotidiane. L’ultimo ostacolo è arrivato appena varcato il confine con l’Alaska. Nonostante l’inverno avesse iniziato a lasciare spazio alla primavera, le temperature rigide e le lunghissime distanze da coprire mi hanno messo a dura prova, debilitandone ulteriormente le condizioni fisiche e costringendomi a uno stop di 48 ore per via di una forma influenzale che ha rischiato di compromettere la riuscita dell’avventura a poche centinaia di chilometri dalla fine.

Con chi era collegato in caso di difficoltà?
Durante ogni mia avventura devo prevedere un sistema che mi consenta sempre di essere, in caso di emergenza, nelle massime condizioni di sicurezza, al netto del fatto che trattandosi si esperienze estreme l’imprevisto può essere dietro l’angolo. Avevo due dispositivi GPS che consentivano di seguire e tracciare i miei spostamenti con aggiornamenti ogni cinque minuti, anche in aree remote, e un tasto SOS che in caso di emergenza inviava un’allerta a tutti gli enti e ai servizi di salvataggio dei vari Paesi con cui preventivamente avevo stipulato accordi di monitoraggio.

Per un’impresa del genere serve una bicicletta molto particolare…
Ho utilizzato una bici da gravel (non ha ammortizzatore ed è rigida, ndr) alternata con una fat bike (che consente di pedalare su sentieri e terreni con molta neve, ndr) per le parti più estreme e remote e che ho fatto arrivare attraverso una spedizione prima di iniziare il giro della parte più selvaggia dell’avventura ovvero Groenlandia e Isole Svalbard. Per sette giorni, poi, ho pedalato trascinando una slitta di circa 50 chilogrammi su cui ho caricato tutto il necessario per sopravvivere alla natura artica in totale autonomia.

Saranno state tante le emozioni che la natura le ha riservato…
Ho pedalato tra boschi, vulcani innevati, centinaia di chilometri nel silenzio più totale e con la magia delle notti trascorse in bici sotto le luci dell’aurora boreale.

Visto da vicino, com’è lo stato di salute del Circolo polare artico?
Il progetto si avvale della collaborazione di scienziati ed esperti proprio perché è solo attraverso il supporto scientifico e la raccolta e presentazione dei loro dati che si può fornire il reale stato di salute del nostro Pianeta. A prima vista, ovviamente, ghiaccio e freddo non mancano, ma le variazioni di temperatura anche minime e che da molti anni fanno sì che il clima ormai sia drasticamente più caldo anche e soprattutto all’artico, ci troviamo di fronte a uno scenario tutt’altro che incoraggiante. Sul mio canale Youtube (www.youtube.com/channel/UC-6Ufaj_IXsLgcEFr6Noonw) si possono rivedere le dirette con i tanti scienziati che hanno trattato vari temi lungo tutto il mio percorso.

Come è stato accolto dalla gente dei territori che ha attraversato?
C’è sempre un misto di curiosità e scetticismo da parte delle popolazioni locali quando mi vedono affrontare territori così estremi in solitaria su una bicicletta. Allo stesso tempo, però, l’umanità delle popolazioni che abitano luoghi così remoti è il valore in più delle mie avventure: il sostegno e l’aiuto non mancano mai ed è ciò che mi fa amare e apprezzare ancor di più posti in cui, in fondo, nonostante la solitudine non ci si sente mai realmente soli.

La prossima avventura in bicicletta dove la porterà? E sarà sempre legata al progetto «Bike to 1.5°C»?

Ci saranno altri capitoli e, probabilmente, anche a breve una grande novità che al momento non posso svelare.

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