Un truffatore che a stento sopravvive nei quartieri più infimi di una livida New York? Uno psicopatico con manie di grandezza e un ego spropositato? Uno scaltro e impassibile manipolatore dell’animo umano? Tom Ripley nella penna – e nella mente – di Patricia Highsmith, nel 1955 nel romanzo Il talento di Mr. Ripley incarna probabilmente tutti questi stereotipi, che la scrittrice americana dipana con maestria da trasformarsi in un tale successo editoriale che darà vita ad altri quattro libri: Il sepolto vivo, L’amico americano, Il ragazzo di Tom Ripley e Ripley sott’acqua.
Ovvio che un personaggio così complicato abbia da subito affascinato il cinema che nel tempo riprende in più occasioni la figura di questo antieroe. Da Alain Delon, bellissimo e più glamour che mai in Delitto in pieno sole di René Clement a Barry Pepper (il meno convincente) in Il ritorno di Mr. Ripley, passando per Dennis Hopper in L’amico americano di Wim Wenders per arrivare in tempi più recenti incarnato da Matt Damon, nell’Italia da cartolina sceneggiata da Anthony Mingella in Il talento di Mr. Ripley e – ultimo della serie – l’inquieto John Malkovich diretto da Liliana Cavani in Il gioco di Ripley .

INEVITABILE ora l’interesse delle piattaforme alla famelica ricerca di storie e personaggi con cui riempire i palinsesti.  Ripley conosce così il suo primo adattamento seriale in otto episodi – da qualche giorno su Netflix – scritti e diretti da Steven Zailian. A incarnare la lucida follia di Ripley è questa volta Andrew Scott cha abbiamo avuto occasione di ammirare di recente in Estranei di Andrew Haigh. La complessità del protagonista, porta Scott a definirlo: «Non necessariamente solo, ma certamente solitario. Oscuro e complesso. E psicopatico? O sociopatico? Un serial killer? Nessuna di queste cose è di alcun interesse per me. Non credo Tom sia un assassino. Penso sia una persona che commette degli errori e quegli errori glieli vediamo commettere in tempo reale». Vero, certo è che in questi otto episodi – che danno l’opportunità al regista di dilatare e meglio definire la personalità di Ripley, c’è molto di più. Perché il gioco perpetrato da Tom è quello di appropriarsi della vita del ricco e di scarso talento Dickie Greenleaf (Johnny Flynn) manipolando, contraffacendo documenti e mentendo con abilità anche nei confronti della fidanzata di Dickie, una misurata Dakota Fanning, che da subito sospetta del ‘vecchio amico’ del compagno.
Steven Zaillian, premio Oscar per la sceneggiatura di Schindler’s List, regge benissimo nelle otto ore di durata complessiva questo viaggio ambientato per l’occasione negli anni 60, e girato per buona parte in Italia con una colonna sonora zeppa di classici dell’epoca. In un lucido e seducente bianco nero, riesce a unire l’hard boiled, il noir e il thriller e catturare la fantasia dello spettatore.