Contrordine. L’Imu sulle imprese resta dove sta, cioè dove aiuta a tirarle a fondo. A palazzo Chigi Enrico Letta e il suo vice dell’altra sponda, Angelino Alfano, incontrano i ministri competenti, Saccomanni e Giovannini, in vista del consiglio dei ministri di domani, dedicato alla sospensione dell’Imu e al rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Discutono per ore. Concludono che con le cifre del debito pubblico arrivate alle stelle e i fucili europei puntati contro ci si deve arrendere. La tassa sulla prima casa la si può sospendere e domani mattina il governo lo farà. Quella sui capannoni delle imprese picccole e medie, invece, deve continuare a erogare quattrini. Se ne parlerà in una non meglio precisata «seconda fase».

Il compito di portare la poco lieta novella al perennemente imbufalito Renato Brunetta, se lo accolla Fabrizio Saccomanni. Quanto poco la novità piaccia al Pdl lo dimostra la tempestività con cui i ministri vengono convocati per un vertice d’urgenza a via dell’Umiltà. Il problema non è solo la scelta di rinviare un intervento che Berlusconi ritiene fondamentale: è l’ambiguità costitutiva di questo governo che si rivela difficilissima da reggere sin dai primi passi. Berlusconi ha bisogno della cancellazione dell’Imu, per sventolarla come vessillo vittorioso. Checché ne abbia raccontato a Brescia, non la ha ottenuta. La sospensione fino a settembre è una classica mossa da gioco al rinvio. Tregua armata nella migliore delle ipotesi. Palude risucchiante nella peggiore.

Ma l’Imu in sé non basta, non se il governo deve durare mesi e addirittura anni. Quel che il Pdl esige è una sterzata netta rispetto alla politica di Monti. Letta, fosse per lui, sarebbe anche d’accordo. Non lo è l’Europa, non lo è la Germania. Forse le cose cambieranno dopo le elezioni tedesche, ma anche in quel caso si tratterà di alleggerimento, non di svolta.

Il passo indietro sull’Imu per le imprese, nonostante la recessione che martella, la disoccupazione che flagella e la domanda interna che affonda, dice più chiaramente di qualsiasi solenne affermazione che Letta non è disposto a nessun passo che somigli a uno strappo con il rigorismo europeo. Può chiedere un permesso, ma se non lo ottiene si allinea. Così nel Pdl va di nuovo in scena l’eterno confronto tra colombe e falchi. A sera, in attesa del cdm, hanno la meglio le prime: Brunetta e Schifani stilano una nota rassicurante: nessun «gabinetto di guerra» sull’Imu a via dell’Umiltà, solo un incontro per «armonizzare l’attività di governo e il lavoro dei parlamentari». A decidere, alla fine, sarà come sempre uno solo, ma quello di oggi è un Berlusconi reso furibondo dalle mazzate giudiziarie, sempre meno disposto ad ascoltare i consigli al bromuro dello zio del premier. Lo farà probabilmente anche stavolta, ma di qui a settembre i margini di manovra saranno ridotti a zero.

L’Imu non è l’unico capitolo rovente che sarà domani sul tavolo del governo. Un unico decreto accorperà alla sospensione della tassa sulla prima casa il rifinanziamento della Cig in deroga e l’abolizione del doppio stipendio per i ministri parlamentari. Solo che anche sul capitolo della Cig il governo deve tenersi in equilibrio tra una emergenza sociale che non si può ignorare e i diktat rigoristi. Nemmeno su quel fronte è scontato che il cdm prenda decisioni tali da soddisfare tutti (al momento è previsto un intervento più leggero del previsto). In quel caso ai malumori fortissimi che serpeggiano nel Pdl si aggiungerebbero quelli del Pd.