Imran Khan, l’ex primo ministro pachistano sollevato dal suo ruolo mesi fa dal Parlamento, minaccia una nuova marcia sulla capitale dopo che la Commissione elettorale lo ha squalificato anche dal suo ruolo di membro dell’Assemblea con una sentenza della settimana scorsa secondo cui «cessa di essere membro dell’Assemblea nazionale del Pakistan e il suo seggio è di conseguenza vacante». La reazione alla sentenza di venerdì scorso (false dichiarazioni e appropriazione personale di regali di stato per 650 euro) ha già visto scendere in piazza i suoi sostenitori e ci sono stati i primi incidenti.

Poi Khan ha chiesto loro di desistere in attesa di una grande «marcia», riservandosi di annunciarne la data. Intanto continua la battaglia legale. Secondo i suoi la squalifica di Khan è motivata politicamente. Chi lo vuole fuori sostiene che vale da subito e lo esclude dall’attuale mandato parlamentare, iniziato nel 2018. Per altri varrebbe invece per cinque anni, impedendogli quindi di correre alle prossime elezioni.

Di fatto il verdetto contro il capo del Pakistan Tehreek-e-Insaf, che gode ancora di grande popolarità specie tra i più poveri, giunge nel momento in cui non solo il suo partito ha vinto una serie di elezioni suppletive (persino in Punjab, roccaforte dei suoi avversari), ma vola nei sondaggi.

Fonti dell’ufficio del primo ministro Shehbaz Sharif (della Lega musulmana) hanno fatto sapere al quotidiano Dawn che giudicano la protesta contro la squalifica di Khan non così intensa come il governo si aspettava e che la reazione «inadeguata» dei suoi avrebbe disorientato lo stesso ex primo ministro che ha poi dovuto chiedere ai sostenitori di annullare le proteste in varie parti del Paese. Valutazioni che tradiscono nervosismo.