Non accenna a dare segni di tregua l’eruzione creativa della vulcanica Satoko Fujii, da Kobe. Nel nome del suo nono lavoro solista, in una carriera in cui sono stati oltrepassati i cento album, è già racchiuso un aspetto della sua arte: Torrent. La musica scorre in effetti torrenziale, mai didascalica, in un flusso libero di idee che travolge. «Non ho deciso nulla, prima. Sono salita sul palco e ho suonato. Ho dato un titolo ai pezzi dopo averli suonati. In qualche modo ho finito col dare a tutti titoli che suggerissero l’idea del viaggio, magari via mare». Light on the sea surface ha epifanie che sembrano citare Stravinskij, enigmatica, danzante, energica, simile nello strumming a certo Cecil Taylor. Maestra della sottile arte della composizione istantanea, Fujii entra dentro il piano per carpirne suoni materici (Cut The Painter), rintocchi d’altrove, avvisaglie di burrasca, swinga lirica e sghemba come Paul Bley (Horizon). Il mood è precisamente quello di un viaggio melvilliano in mezzo alle onde, alla ricerca inesausta della balena, di altre idee per continuare a navigare. Sulle scene dal 1996, la pianista giapponese si conferma una delle voci più limpide e personali del jazz e dell’improvvisazione oggi. Un disco da non perdere, in cui perdersi.