Cultura

Imparare a «disapprendere» attraverso l’arte

Imparare a «disapprendere» attraverso l’arteWorkshop «Femisssmmm vai pure» (Accademia di Belle Arti di Brera, a cura di Maria Rosa Sossai e Donata Lazzarini (performance degli studenti Gloria Capoani e Hossein Qayyoomi Bidhendi – Foto di Marco Passaro

Intervista Un incontro con Maria Rosa Sossai e Paola Gaggiotti, fondatrici del collettivo editoriale «fuoriregistro», che esplora in maniera multidisciplinare il mondo dell'educazione

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 18 aprile 2020

Fuoriregistro – quaderno di pedagogia e arte contemporanea è un collettivo editoriale che esplora in maniera multidisciplinare il mondo dell’educazione; muovendosi tra teoria e prassi, ha attivato una serie di progetti che attraversano le comunità contemporanee. È un’iniziativa editoriale che si autoproduce, in collaborazione con Studio Boîte di Milano e l’editor Federica Cimatti. I contributi provengono da coloro che credono nella rivista e nella possibilità di operare cambiamenti. «Nel 2018 per il Festival Unlearnig Barcelona – spiega una delle sue ideatrici Maria Rosa Sossai – avevo invitato diversi artisti (tra cui Paola Gaggiotti, anche lei una delle fondatrici) e collettivi che hanno presentato dei processi di disapprendimento della didattica tradizionale: una messa in discussione dei metodi convenzionali di insegnamento e valutazione.

Cosa si può raccontare del progetto?
Maria Rosa Sossai: Durante quel festival è nata l’idea di continuare la collaborazione con un progetto editoriale che, in verità, prosegue una ricerca iniziata da tempo. Quando ero insegnante al Liceo artistico, durante le mie ore di lezione, ho invitato alcuni artisti: sono convinta che la storia dell’arte vada vissuta insieme; poi nel 2012 è nato il collettivo Alagroup e nel 2017 ho pubblicato il libro Vivere insieme l’arte come azione educativa, dove affrontavo in chiave storica le diverse sperimentazioni in ambito educativo, dedicando poi una seconda parte agli esercizi d’artista – nell’idea che essere artisti non significhi solo essere professionisti dell’arte all’interno del sistema. La rivista fuoriregistro continua il lavoro iniziato nel libro, ma ora condiviso con una redazione numerosa.

Arte ed educazione, un binomio importante che fatica a essere recepito dalle scuole, tanto che la storia dell’arte è ormai la cenerentola delle discipline. Che soluzione proponete per superare l’impasse?
Paola Gaggiotti: fuoriregistro è la nostra soluzione. La realtà in cui ci muoviamo è abbastanza drammatica, l’arte infatti si è progressivamente impoverita e non esiste quasi più nelle scuole, e dove c’è, resiste grazie all’entusiasmo dei singoli. Parlo ovviamente di una visione contemporanea in cui l’arte è anche uno strumento di relazione. Quando entra dentro la vita, ha la capacità di creare un linguaggio diverso, promuovendo un approccio più democratico che potrebbe creare una cittadinanza attiva che, a sua volta, potrebbe mettere in crisi un sistema mercantile logoro.
M.R.S. Aggiungo che oggi gli unici che fanno educazione all’arte sono i dipartimenti di didattica dei musei, ma al loro interno, dove vige una struttura verticistica, l’aspetto didattico è secondario rispetto a quello curatoriale, non c’è un’osmosi reale tra le varie attività e di questa distanza le istituzioni museali devono assumersi la responsabilità.

Voi praticate «attivismo artistico»: cosa intendete con questa espressione?
P.G.: Attivismo artistico è stare dentro il sistema dell’arte in modo attivo ma critico. Ed è anche uscire da quello stesso sistema per andare in luoghi diversi, come ospedali, carceri o comunità. Quando mi hanno chiamata in un ospedale perché serviva un linguaggio diverso da quello scientifico e psicologico per relazionarsi ad adolescenti ammalati di cancro, ho sperimentato diverse criticità: nel momento in cui l’arte entra in questi luoghi non può essere asservita né essere un riempitivo o un passatempo. L’arte contemporanea è la messa in crisi dei processi convenzionali e a questo il mondo delle scienze non è preparato, perché coglie solo l’aspetto dell’intrattenimento.

Il primo numero della rivista si pone all’insegna dello sguardo di genere ed è dedicato a Carla Lonzi, si intitola infatti «Feminisssmmm Vai Pure», chiaro riferimento al libro «Vai Pure» che racchiude il dialogo tra la critica femminista e il compagno Pietro Consagra. Come mai questa scelta?
M.R.S. Quando Donata Lazzarini, docente e artista, mi ha chiamata per tenere un laboratorio presso l’Accademia di belle arti di Brera, aveva già deciso di leggere con le studentesse questo testo, il cammino era tracciato e ci è sembrato il tema giusto con il quale iniziare. Le questioni che riguardano la relazione di coppia sono estremamente attuali, se pensiamo ai femminicidi e ai modi spesso conflittuali di vivere la coppia. Anche le studentesse hanno detto fin da subito che sentivano il testo molto vicino al loro vissuto: le performance che hanno realizzato ci hanno colpito per la loro maturità espressiva. Il che dimostra che le parole della Lonzi risuonano ancora attuali. La stessa azione pedagogica, d’altra parte, si basa non tanto sui contenuti ma sulla relazione che si crea tra docente e discente.

È già in programma il secondo numero della rivista: quali saranno gli argomenti affrontati?
M.R.S. Del bene comune e anche questa volta si partirà da progetti in pieno svolgimento. Sto curando al Museo civico di Castelbuono una mostra dal titolo L’asta del 1920, per celebrare il centenario dell’acquisto del castello da parte di tutta la comunità dei castelbuonesi. In questo numero il focus è sulle comunità che praticano il bene comune, tema ancora più attuale in questo momento di forzato isolamento.
P.G. Io sto lavorando con una comunità di ragazzi di Sestri Levante per realizzare un’opera ad utilizzo dei cittadini stessi. Avendo già uno spazio, si pensava a come arredarlo per metterlo a disposizione della comunità prendendo degli oggetti da un magazzino di riuso. Ci siamo dovuti fermare e non è detto che, quando riprenderemo, non ripenseremo tutto di nuovo.

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